Negli Stati Uniti, prendere ai ricchi per dare ai poveri… sembra facile!
Uno dei pochi pregi della crisi pandemica è stato quello di far porre l’attenzione di governi e parlamenti, spesso più sensibili agli interessi delle lobby e – soprattutto negli Stati Uniti – dei finanziatori delle loro campagne elettorali, il tema dell’intollerabile aumento delle disuguaglianze economiche e sociali e dell’urgenza della sua riduzione, un aumento che è iniziato oltre quarant’anni fa e cui hanno dedicato il loro studio economisti come Anthony Barnes Atkinson e Thomas Piketty.
Il problema è oggi passare dalle parole ai fatti, superando i pilastri neoliberisti su cui oggi poggiano le maggiori economie mondiali. In un precedente post ci chiedevamo se si sarebbero riusciti a ottenere in un prossimo futuro risultati, anche minimi, nella ridistribuzione della ricchezza e nell’aumento della tassazione dei super ricchi, oppure sarebbe prevalso il ritorno alla normalità, con un ulteriore effetto regressivo nella distribuzione della ricchezza.
Qui indichiamo quale appare essere la risposta di governo nelle attività poste in essere in questi mesi per contrastare l’accresciuta disuguaglianza… e il risultato non è affatto incoraggiante.
Negli Stati Uniti
Secondo il recente Rapporto mondiale sulla disuguaglianza 2022 (World Inequality Report 2022), negli Stati Uniti l’1% della popolazione detiene il 34,9% della ricchezza del Paese e il 10% più ricco ha un reddito medio diciassette volte maggiore di quello del 50% meno abbiente.
Il presidente Biden aveva annunciato con enfasi un grande piano da seimila miliardi di dollari per la rinascita della società e dell’economia americana (Build Back Better Plan). Il piano era suddiviso in tre parti; l'American Rescue Plan, un pacchetto di aiuti per poco meno di due miliardi di dollari legati all’emergenza pandemica, convertito in legge nel marzo 2021; l'American Jobs Plan, una proposta di duemilatrecento miliardi per ammodernare la fatiscente rete infrastrutturale del Paese e, contestualmente, creare posti di lavoro in grado di ridurre sensibilmente la disoccupazione innescata dalla crisi sanitaria; l’American Families Plan, infine, era una proposta di millesettecento miliardi da investire nei settori dell'assistenza ai ceti emarginati, all'infanzia e all'istruzione.
I filibustieri del Congresso
Sugli ultimi due provvedimenti Biden ha sottovalutato l’opposizione repubblicana al Senato che, ha messo in atto per mesi il filibustering (ostruzionismo), che consente di bloccare indefinitamente la votazione su una legge. Nel 1975 il Senato ha approvato una riforma del filibustering che consente a quaranta senatori di chiedere la sospensione della discussione e della conseguente votazione di un provvedimento di legge, sospensione che può essere superata solo dal voto contrario dei restanti sessanta senatori. Poiché i democratici al Senato possono contare solo su cinquanta voti ed era inverosimile convincere dieci senatori repubblicani a votare contro i loro colleghi, sono iniziati mesi di intensi negoziati tra le due parti.
Così riguardo all’American Jobs Plan, il presidente della Commissione Bilancio del Senato, Bernie Sanders è riuscito ad accordarsi con la minoranza repubblicana per votare contestualmente un nuovo provvedimento sulle infrastrutture, l'Infrastructure Investment and Jobs Act, per una spesa di mille miliardi di dollari (invece dei preventivati 2300 miliardi) e una legge di riconciliazione sul Build Back Better Act, una legge sulle "infrastrutture umane" che incorporasse l'American Families Plan e ne aumentasse le risorse a tremilacinquecento miliardi. La riconciliazione è un provvedimento, limitato alle leggi di bilancio, grazie al quale la minoranza rinuncia a ricorrere all’ostruzionismo, purché la maggioranza – nel riempire di contenuti la legge – non superi il limite di spesa preventivato.
Fuoco amico
Alla Camera i democratici hanno proposto di votare contestualmente i due provvedimenti e quindi di ritardare quello sull'Infrastructure Investment and Jobs Act fino alla distribuzione per capitoli di spesa dei 3.500 miliardi stanziati per il Build Back Better Act, ma quando tutto sembrava volgere al meglio è intervenuto il fuoco amico degli esponenti democratici conservatori alla Camera, preoccupati degli effetti negativi che l’aumento della spesa sociale avrebbe potuto provocare sul debito pubblico e sulla tassazione dei ceti medi. Il colpo definitivo è venuto dal senatore Joe Manchin e dalla senatrice Kyrsten Sinema che hanno annunciato il loro voto contrario a leggi che prevedano un consistente incremento della spesa sociale pubblica e che causino un ulteriore aumento dell’inflazione. Senza i loro voti il Build Back Better Act, anche incassando il voto favorevole della Camera, sarebbe stato bocciato al Senato.
Da agosto sono dunque iniziate nuovamente le trattative sui contenuti (e sugli importi) del piano, questa volta prevalentemente all’interno della maggioranza democratica. Alla fine di ottobre si è finalmente giunti a un accordo sul dimezzamento del piano, passato dagli iniziali 3.500 a 1.750 miliardi, ma la soluzione non ha convinto l'irriducibile Manchin che ha obiettato che il taglio era stato operato principalmente riducendo la durata temporale del sostegno ai ceti più disagiati e quella dell’incremento della tassazione per i più abbienti.
L’impasse è stato superato solo lo scorso 5 novembre, quando la Camera ha approvato definitivamente l'Infrastructure Investment and Jobs Act (con il voto determinante di 13 deputati repubblicani) e, contestualmente, la procedura per l’approvazione del Build Back Better Act.
Inoltre, per far passare misure di politica sociale – come il finanziamento per la scuola materna universale per bambini di 3 e 4 anni, congedi familiari retribuiti e crediti d'imposta per l'assistenza all'infanzia – Biden ha dovuto inserire nel Build Back Better Act un aumento delle detrazioni dal reddito imponibile federale per le tasse pagate a livello statale e locale (limite passato da diecimila a ottantamila dollari), una misura che favorisce i contribuenti più ricchi.
Il 19 novembre scorso - nonostante il gesto – puramente dimostrativo – del leader della minoranza repubblicana, Kevin McCarthy, che ha parlato per oltre otto ore per far slittare di un giorno la votazione e il voto contrario di un deputato democratico - la Camera ha approvato il Build Back Better Act portato a 2.200 miliardi, in quanto è stato integrato dal Climate Bill, un provvedimento per spostare l'economia americana dalla sua secolare dipendenza dai combustibili fossili verso fonti di energia pulita, attraverso incentivi per le industrie, i servizi pubblici e i consumatori a passare alle fonti rinnovabili. Il provvedimento è passato al Senato, dove il leader della maggioranza democratica, Chuck Schumer, si è dichiarato determinato a porre in discussione la legge in modo che possa essere approvato all’inizio di gennaio, sebbene il senatore Joe Manchin - che ha interessi personali nell’industria del carbone - abbia annunciato il suo voto contrario al Climate Bill, nonostante il maggiore sindacato dei minatori della Virginia Occidentale, lo Stato che ha eletto Manchin, lo abbia invitato a riconsiderare il suo rifiuto perché il provvedimento prevede anche sostegno ai minatori disoccupati. La Casa Bianca sta lavorando a un compromesso con il senatore ostruzionista che eviti l’azzeramento del provvedimento sul clima che impedirebbe il raggiungimento degli obiettivi ambientali assunti da Biden per il 2030; se ci riuscirà, la legge, una volta emendata, dovrà tornare alla Camera per l’approvazione definitiva. Intanto è cresciuta la polemica, anche fra i loro elettori, sui cospicui finanziamenti a Manchin e a Sinema provenienti, negli ultimi mesi, da ambienti conservatori e repubblicani, oltre che dalle lobby dei combustibili fossili : il sospetto è che possano essere più propensi a difendere gli interessi dei loro finanziatori che degli Stati che rappresentano in Senato.
Tanto rumore per nulla?
Il Build Back Better Act ha prodotto opinioni discordanti: da una parte opinionisti come David Brooks definiscono un successo il pacchetto di leggi varato da Biden “per creare una società più equa, più giusta e più unita: il disegno di legge di stimolo al Covid, il disegno di legge sulle infrastrutture e quello che è diventato Build Back Better, per investire nelle infrastrutture umane. Tutti questi provvedimenti sono stati scritti per indirizzare denaro verso le parti del paese che erano meno istruite, meno abbienti, lasciate indietro”; dall’altro l’ex Segretario del Tesoro Larry Summers pensa che il pacchetto di incentivi sia “eccessivo”: potrebbe stimolare l'economia oltre le proprie capacità produttive e portare all'inflazione; infine l’economista Stephanie Kelton ritiene ingiustificate le perplessità di Summers, ricordando che l’importo complessivo delle tre leggi volute da Biden è inferiore a quanto gli Stati Uniti mettono a bilancio ogni anno per le spese militari (seimila miliardi).
Il pacchetto di leggi voluto dal Presidente Biden avrà probabilmente effetti significativi sulla crescita economica del Paese nel breve e medio periodo, ma verosimilmente risulterà scarsamente efficace nel ridurre le disuguaglianze economiche e sociali che la pandemia ha incrementato:
- dal lato del sostegno al reddito delle classi a basso reddito, considerato che buona parte delle risorse sarà impiegato nel contrasto al cambiamento climatico, l’effetto sarà limitato per le famiglie più disagiate e praticamente nullo per i ceti medi impoveriti;
- la gestione dei fondi federali di sostegno al reddito è affidata ai singoli Stati, con il risultato che i sussidi arrivano mesi dopo lo stanziamento e con importi inferiori a quelli stanziati. Un esempio è il programma di aiuto alle famiglie a basso reddito per pagare le bollette dell'acqua scadute (LIHWAP, Low Income Household Water Assistance Program), finanziato dal Congresso nel marzo scorso con oltre un miliardo e cento milioni di dollari. Il finanziamento è insufficiente, dal momento che è stato deciso senza richiedere alcun dato sull’insolvenza delle bollette idriche (stimata cinque o sei volte la cifra stanziata). Il Dipartimento della Salute e dei Servizi umani ha distribuito l’80% delle risorse agli Stati, ma neppure un dollaro è ancora arrivato alle famiglie bisognose. Questo perché la maggior parte degli Stati non ha raccolto i dati sull’entità delle bollette scadute e sulle famiglie con i requisiti per richiedere il sussidio. Quando anche questi dati saranno disponibili, alle famiglie sarà distribuito solo tre quarti della somma impegnata, in quanto ogni Stato tratterrà il 15% per spese organizzative del servizio e il 10% per la pubblicizzazione dell’iniziativa.
- dal lato delle entrate, l’aliquota unica sui profitti delle imprese passerà quest’anno dal 21% al 25% (rispetto al 28% proposto dalla Segretaria del Tesoro Janet Yellen) per scendere nel 2022 al 23%; l’aliquota sui profitti esteri delle multinazionali resta fissata al 15%, comprensiva della tassazione operata all’estero; l’aliquota massima sui redditi delle persone fisiche passa dal al 37% al 39,6%, ma aumentando contestualmente lo scaglione di reddito da 400 mila a 523 mila dollari: la pressione fiscale rimane sostanzialmente invariata, con un aumento inferiore al punto percentuale;
- non sono state adottate le uniche misure volte a una ridistribuzione della ricchezza: non si è discussa l’introduzione di un'imposta patrimoniale; né si è intervenuti sulla tassazione delle plusvalenze, cioè sulla maggiore fonte di incremento del patrimonio dei super ricchi, tassazione che attualmente si applica solamente sulle azioni vendute, non su quelle detenute… Il problema è che Elon Musk, Jeff Bezos, Warren Buffett o Bill Gates non hanno interesse a vendere quote azionarie, in quanto possono agevolmente accedere al credito bancario per le proprie spese e rimborsare il debito contratto con i profitti (risultando così addirittura a credito per il fisco, cui spesso non versano neppure un dollaro);
- attualmente al Senato è in discussione la Billionaires’ Tax, una imposta patrimoniale limitata a chi, per tre anni consecutivi, denunci un patrimonio di almeno un miliardo di dollari o un reddito annuo di almeno centomila. Il patrimonio verrebbe tassato calcolando le plusvalenze di beni mobili e immobili (anche se non ceduti) fra valore attuale di mercato e valore iniziale. Nonostante questa patrimoniale interessi un numero ristretto (7-800) di super ricchi, la legge ha ben poche possibilità di essere approvata, dal momento che la senatrice democratica Kyrsten Sinema ha preannunciato il suo voto contrario. Comunque uno dei super ricchi, Elon Musk, ha già messo in atto una strategia per eluderla: ha immesso sul mercato il 10% delle sue azioni (che valgono mille dollari l’una) e ne ha riacquistato una gran parte facendo valere delle stock options (incentivi dati di norma ai dirigenti che consentono di acquistare azioni a un prezzo prefissato), pagandole sei dollari l’una e realizzando due miliardi di profitto (le azioni messe sul mercato non erano quelle della prima quotazione in borsa del 2010 che valevano appena 28 dollari, ma quelle oggetto dell’ultimo aumento di capitale di meno di un anno fa, quando invece ne valevano 780, ha pagato una minima plusvalenza sulle azioni vendute, la differenza fra 1000 e 780 euro, ma riacquistandole, ha azzerato le plusvalenze). Non solo grazie a questo, Musk è balzato in testa alla classifica dei multimiliardari, con un patrimonio di 304 miliardi di dollari, 34 (+12%) in più rispetto all’anno scorso.
In conclusione la Build Back Better Strategy – non intervenendo sui meccanismi di accumulazione della ricchezza e salvaguardando i redditi dei più abbienti - è destinata a lasciare invariate le disuguaglianze che, anzi, sono verosimilmente destinate ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni.
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