Una triste favola per le Feste: la tragica storia dei due Giulio

Per loro non c’era posto…


Giulio era un ragazzo biondo, con gli occhi azzurri spalancati sul mondo. Di temperamento ribelle, era nato nel paese di Sottosopra da due attori girovaghi. Narcisista e un po’ egocentrico (anche se allora non si usavano ancora questi termini) aveva quella sfrontatezza che affascinava tutte le fanciulle di ogni paese ove si fermasse la compagnia teatrale del padre. Era anche una persona curiosa, soprattutto delle malefatte dei potenti del Paese.

Allora ogni castellano faceva ciò che voleva dei suoi sudditi; era sufficiente che sospettasse di alcuni o semplicemente volesse dare una dimostrazione del suo potere (a volte, scegliendo a caso e senza neppure sapere chi fossero i prescelti) perché gli sbirri li prelevassero, li torturassero o li ammazzassero, senza motivo.

Anche durante le frequenti guerre - spesso giustificate dalla religione, ma in realtà sempre di conquista – i soldati si abbandonavano a saccheggi, stupri, violenze gratuite e uccisioni di inermi abitanti del paese invaso (pare che allora li chiamassero assassini “collaterali” per sminuirne la portata). Gli sbirri, come i soldati, ricevevano una mercede per ogni crimine e quindi l’economo di corte li annotava puntualmente in un registro che conservava chiuso in un forziere nel castello.

Giulio, nonostante la leggenda dica che non avesse mai frequentato neppure un giorno di scuola, sapeva leggere e scrivere; inoltre, si era esercitato per anni ad aprire i lucchetti delle casse dove la compagnia teatrale riponeva gli abiti di scena o i denari raccolti con le recite e quindi gli riuscì di appagare la sua curiosità, entrando di nascosto nella stanza degli economi, forzando lo scrigno per leggere e trascrivere il contenuto dei registri.

Poi, i crimini di cui era venuto a conoscenza venivano trasformati in storie inserite nel canovaccio delle recite; così il pubblico venne a sapere dei misfatti commessi dallo sceicco di Saulandia, delle esecuzioni sommarie perpetrate dagli sbirri in Bantulia, della sanguinosa repressione delle rivolte in Lasandia, della corruzione del governo incandese; delle purghe dello sceicco Recipgan.

Il potente imperatore dell’Occidente Selvaggio, la cui autorità si estendeva ben oltre i confini dell’Impero, venne a sapere delle imprese di questo giovane ribelle che mostrava a tutti le malefatte di molti dei suoi vassalli, ma decise di ignorarlo. Finché un giorno, l’aiutante dell’economo imperiale, approfittando della sua assenza e del forziere aperto, rubò i voluminosi registri dove erano annotate le malefatte dell’esercito imperiale e li consegnò a Giulio.

Giulio, questa volta, non si limitò a inserire i crimini dell’Imperatore nelle recite della compagnia di cui faceva parte, ma ricopiò le annotazioni principali e le inviò a molte altre compagnie teatrali, di modo che “I crimini nuovi dell’Imperatore” divenne uno spettacolo rappresentato in tutto il mondo. Molti spettatori, anche fra i sudditi dell’Impero, si indignarono alla scoperta di tante esecuzioni sommarie di vittime “collaterali”, cioè di civili inermi, soprattutto perché l’Imperatore ripeteva sempre di volere non solo il bene del suo popolo, ma anche quello di tutti i popoli, quando fossero stati minacciati dai nemici dell’Impero.

L’imperatore, vedendo scalfito il suo prestigio da questo plebeo insolente, decise di fargliela pagare: ordinò ai giudici di Svevia di farlo arrestare per aver violato due giovani pulzelle del luogo, ma Giulio, che allora si trovava in Cassiteria, per nove anni si nascose nei boschi per sfuggire all’arresto. Poi, però, il signore del Regno di Cassiteria, Boris il Biondo, riuscì a rintracciarlo in un bosco nella regione di Ecuania e a gettarlo nelle segrete del suo palazzo.

Oggi molti pensano che la prigionia sia la giusta punizione che l’autore del reato debba espiare per le sue malefatte, altri che possa essere un momento di rieducazione del malfattore, ma allora non era così. La prigione serviva o per rinchiudere i debitori finché i familiari non avessero versato l’intero debito con i dovuti interessi (di questo utilizzo erano maestri ineguagliabili i signori di Sirtesia che imprigionavano per richiederne il riscatto anche persone che non avevano debiti e che anzi avevano pagato a caro prezzo il diritto di passaggio nel deserto e un posto su un’imbarcazione diretta in Eulandia) oppure serviva in attesa di un passaggio del condannato sul patibolo.

L’Imperatore, essendo Giulio incarcerato in un Regno alleato, non ebbe più bisogno dei giudici di Svevia e chiese che il prigioniero gli venisse immantinente consegnato perché venisse giustiziato come spia davanti al suo popolo. Un primo giudice provò a sostenere che forse Giulio non si fosse macchiato di un crimine che meritasse la morte, ma – di fronte all’insistenza dell’Imperatore che giunse ad assicurare che “forse” sarebbe stato magnanimo e avrebbe commutato la pena capitale in altra, “eventualmente” da scontare nel paese di Sottosopra – un secondo giudice decise di accordare il trasferimento nelle prigioni imperiali...

Il manoscritto da cui abbiamo tratto questa storia si interrompe qui, essendo le ultime pagine strappate, ma c’è poca speranza che l’esito non sia stato quello dell’ingiusta morte del povero Giulio.

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Giulio nacque circa vent’anni dopo in un paese della regione di Giulandia, nel Regno di Ausonia. Ero un ragazzo bruno dagli occhi vispi e amava viaggiare: andò a studiare nell’impero dell’Occidente Selvaggio; poi fu mandato in Nilandia da un’organizzazione umanitaria che l’Imperatore generosamente ospitava nei suoi confini: nella capitale della Nilandia doveva studiare lo sviluppo commerciale del Paese e riferirne all’Impero. Poi si trasferì a studiare nel Regno di Cassiteria, all’università di Semponte; da lì fu rimandato in Nilandia – vista la sua conoscenza della lingua locale - per acquisire il maggior numero di informazioni sulle gilde delle arti minori, quelle che contavano fra i loro membri popolani più o meno tacitamente scontenti del loro sceicco.

Lo sceicco subito si innervosì di questo giovane straniero che faceva troppe domande e sembrava mandato da qualcuno per spargere zizzania fra il suo popolo. Lo fece segretamente catturare dagli sbirri mentre stava andando in una locanda a una festa di amici. Il Re di Ausonia si limitò a inviare un messaggero per chiedere allo sceicco se sapesse qualcosa della misteriosa scomparsa di Giulio, ma – non avendo risposta – si disinteressò della cosa.

Per dieci giorni Giulio fu torturato perché confessasse i nomi dei suoi inesistenti mandanti; le torture furono tanto crudeli da infliggergli una morte atroce, dopo di che gli sbirri si sbarazzarono del cadavere, lasciandolo seminudo sul ciglio della strada. Lo sceicco disse a tutti che certamente si era trattato di un crimine commesso da briganti e che i colpevoli sarebbero stati individuati e puniti. Pochi giorni dopo, infatti, gli sbirri catturarono un’intera famiglia di poveri mendicanti, ignari dell’accaduto, e li giustiziarono sul posto; poi, per rassicurare il sovrano di Ausonia, lo sceicco gli inviò gli abiti di Giulio che asserì fossero stati trovati nella casa della famiglia assassinata. Purtroppo l’altro Giulio biondo dagli occhi azzurri non poté indagare sull’omicidio del Giulio bruno dagli occhi vispi, perché allora era braccato in Cassiteria.

Qualche anno dopo, Patrizio, un giovane di Nilandia che però studiava a Petronia in Ausonia, tornando in patria fu arrestato e accusato di essere un rivoluzionario. Questa volta la cattura non poté essere nascosta perché avvenuta in pieno giorno e il re di Ausonia – che il popolo accusava di non aver fatto nulla per evitare la morte di Giulio da Giulandia – questa volta si attivò per chiedere spiegazioni allo sceicco. Questi ordinò ai giudici di prendere tempo nel condannare Patrizio, non tanto per difendere il suo prestigio (dal momento che tutti lo conoscevano come un cinico dittatore) e neppure per le pressioni del re di Ausonia, ma perché l’Imperatore in persona chiese conto della sorte di Patrizio e di una cinquantina di altri stranieri, anche loro ingiustamente incarcerati.

Lo sceicco aveva validi motivi per cercare di ingraziarsi l’Imperatore, primo fra tutti la promessa di una grande somma di denaro delle casse imperiali destinate ad armare l’esercito nilota. Fu così che Patrizio fu scarcerato in attesa dell’inevitabile condanna, che giunse due mesi dopo, assieme alla grazia concessa dal magnanimo sceicco.

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La triste storia dei due Giulio ci ricorda come quasi tutti i potenti di questo mondo, non importa se dichiaratamente tiranni o falsamente autoproclamatisi amici del popolo, abbiano spesso le mani sporche di sangue e conservino nei forzieri, assieme a oro e gioielli, inconfessabili segreti.

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