Qualcosa sta cambiando in Israele (e non in meglio)

 

10 maggio: irruzione dell’esercito israeliano nella Spianata delle moschee
16 maggio: negozi chiusi a Nablus durante lo sciopero generale palestinese


Da una quindicina d’anni ormai la propaganda di Israele mira a ridurre il conflitto israelo-palestinese alla difesa del diritto a esistere di una Nazione (Israele) contro gli attacchi di un’organizzazione terroristica (Hamas). È successo di nuovo nel maggio scorso, negli undici giorni di guerra – la quarta, dopo quelle del 2008, del 2012 e del 2014 - fra Israele e Hamas.

Derubricare la questione palestinese a uno scontro fra uno Stato democratico e un gruppo di terroristi è funzionale alla narrazione israeliana che la questione, in realtà, non esiste.

Serve a mettere la sordina a ciò che ha provocato il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza: il rovocatorio programma di organizzazioni sioniste di destra di celebrare l’annessione di Gerusalemme Est nel 1967 marciando all’interno del quartiere arabo della città; gli sfratti annunciati nel quartiere arabo di Sheikh Jarrah; l’irruzione dell’esercito all’interno della moschea di Al-Aqsa, il più importante simbolo religioso per i palestinesi.

Serve a sottacere che in quei giorni migliaia di palestinesi hanno manifestato per protestare per questi fatti, sia a Gerusalemme Est che in Cisgiordania; che per la prima volta è stato proclamato uno sciopero generale in tutti i territori occupati.

Serve a far dimenticare che ormai la maggior parte degli ebrei israeliani vive con fastidio la presenza araba (per loro non esistono palestinesi, solo arabi) in Israele come in Cisgiordania e che molti pensano si debba dare piena attuazione alla Legge fondamentale sullo Stato nazionale del popolo ebraico che sancisce come Israele sia lo Stato nazione del popolo ebraico, non uno Stato formato dai suoi cittadini, non uno Stato di due popoli che convivono al suo interno.

Specularmente, la narrazione israeliana conviene anche a Hamas che sfrutta le tensioni a Gerusalemme - come il recente attacco suicida alla Spianata delle Moschee - per minare l'Autorità palestinese, come ha già fatto a maggio all'inizio della guerra con Israele

In questi ultimi mesi, nonostante la fine dell’era Netanyahu, il governo israeliano ha promesso o prese misure discriminatorie nei confronti del popolo palestinese, oltre a consentire violenze e intimidazioni da parte di gruppi di sionisti estremisti. Con quale, non dichiarato, obiettivo?

Hebron: un centro storico fantasma

Confronto fra due scorci della città vecchia, ripresi negli anni '90 e nel 2007
(Na'if Hasalmon, Al-Watan Center e Keren Manor, Activestill)

Un esempio drammatico delle sopraffazioni di coloni ed esercito israeliano è dato dalla città di Hebron (Al Khalil in arabo) in Cisgiordania. Abitata da circa duecento mila palestinesi e da poco più di settecento coloni israeliani, insediatisi negli anni successivi al 1967, secondo gli Accordi di Oslo del 1993 sarebbe dovuta passare sotto l’amministrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Nel 1994 però un fanatico colono sionista, Baruch Goldstein, entrò nella moschea dove si trova la tomba di Abramo, patriarca di ebraismo, cristianesimo e islam, luogo sacro per tutte queste fedi e uccise ventinove musulmani in preghiera, ferendone centinaia, prima di essere linciato dalla folla superstite. L’episodio fece insorgere la popolazione palestinese contro l’esercito occupante: alla fine si contarono altre ventisei vittime palestinesi e cinque israeliane.

Dopo gli scontri, per difendere le case dei ebrei – che, come ricordato, rappresentavano appena lo 0,3% degli abitanti – Israele impose all’ANP la spartizione della città: l’80% del territorio, dove abitavano centosessantacinquemila palestinesi, passò sotto l’amministrazione araba, mentre il restante 20%, costituito dall’intero centro storico di Hebron e abitato da trentacinque mila palestinesi, oltre ai settecento ebrei, fu posta sotto lo stretto controllo dell’ l’esercito israeliano (IDF, Forza di Difesa israeliana, Tsahal in ebraico). L’area controllata dall’IDF comprendeva l’intero centro storico di Hebron, allora importante centro commerciale della Cisgiordania meridionale.

Le autorità israeliane impongono intenzionalmente e apertamente - come denuncia B’Tselem, l’ONG israeliana a difesa dei diritti umani nei territori occupati - un regime basato sul “principio della separazione”, il cui risultato è la segregazione legale e fisica tra i coloni israeliani e i residenti palestinesi.

Scolari palestinesi a un checkpoint nella zona israeliana di Hebron
(Mussa Qawasma, Reuters, novembre 2019)

L'esercito ha stabilito 21 posti di blocco, alcuni dei quali anche all'interno del territorio da loro controllato, per rendere difficile la circolazione degli abitanti a Hebron, anche e soprattutto nel centro storico. I palestinesi che devono passare attraverso uno di questi posti di blocco devono sopportare ispezioni lunghe e umilianti.

I palestinesi che risiedono nella zona sotto il controllo dell’IDF subiscono abitualmente violenze, incursioni militari notturne nelle loro case, molestie, ritardi ai checkpoint e varie forme di trattamento degradante. Anche gli abusi sistematici e le molestie dei palestinesi da parte dei coloni sono diventati una parte consolidata della vita a Hebron: frequenti sono le aggressioni fisiche, il lancio di pietre, atti vandalici di negozi e porte, furti, abusi verbali, tentativi di investire palestinesi e, a volte, l’uso di armi da fuoco.

I soldati raramente intervengono quando i coloni attaccano i palestinesi. Anche dopo il fatto, la polizia israeliana non indaga quasi mai sugli assalti dei coloni contro i palestinesi o le loro proprietà e molto raramente arresta i colpevoli.


L’ultimo abuso di Israele sui palestinesi di Hebron, come di consueto definito come “abituali operazioni per la sicurezza”, è stata la recente installazione di telecamere per il riconoscimento facciale dei passanti, in modo da poter – illegalmente – identificare ogni palestinese, confrontandolo con un database contenente migliaia di foto scattate dai soldati, e monitorare ogni suo movimento all’interno della città (e, secondo il Washington Post, anche all’interno delle loro abitazioni). A realizzare questo sistema di sorveglianza orwelliano (Hebron Smart City) è stata la società israeliana di sicurezza informatica NSO, già al centro dello scandalo di spionaggio internazionale che ha coinvolto cinquanta mila persone in tutto il mondo spiate nelle loro comunicazioni telefoniche dallo spyware Pegasus prodotto dall’azienda israeliana.

L’accresciuta violenza dei coloni (e dell’IDF)


La diffusione negli insediamenti, soprattutto fra i più giovani, delle idee della destra sionista ortodossa che auspicano il compiuto raggiungimento di 
Eretz Yisrael, la Terra che Yahweh aveva promesso ai discendenti di Giacobbe, così come citato nei testi sacri della Genesi e del Targum Yerushalmi (quindi abitata dai soli ebrei, con conseguente espulsione di tutti i palestinesi) ha reso sempre più frequenti gli episodi di soprusi, violenze, aggressioni da parte dei coloni contro gli abitanti dei villaggi palestinesi vicini.

Soprattutto dopo gli undici giorni del conflitto con Hamas nel maggio scorso, la tensione fra le due popolazioni è cresciuta esponenzialmente:

  • i coloni spesso incendiano gli uliveti dei contadini palestinesi;

  • impediscono loro l’accesso ai campi per la raccolta delle olive, lanciando pietre e utilizzando coltelli o bastoni per aggredire gli agricoltori, spesso minorenni;

  • aggrediscono e, talvolta, uccidono chi cerca solo di spegnere gli incendi appiccati;

  • nelle città a popolazione mista come Hebron, organizzano minacciose spedizioni esplodendo da veicoli in corsa colpi di armi da fuoco contro le abitazioni palestinesi;

  • effettuano incursioni nei villaggi arabi, distruggendo veicoli, infissi delle case e - soprattutto – le cisterne per la raccolta dell'acqua e le condotte idriche che la portano alle case;

  • ostacolano l’afflusso delle ambulanze e il trasporto dei feriti agli ospedali, lanciando sassi contro i mezzi di soccorso o bloccando le strade.

In tutte queste azioni sono spesso supportati dai distaccamenti dei soldati israeliani che non bloccano le violenze dei coloni, mentre sparano granate assordanti o gas lacrimogeni per disperdere i palestinesi che difendono le loro case o le loro coltivazioni oppure sparano proiettili veri contro ragazzi o adulti palestinesi che cercano di spegnere gli incendi o di portare soccorso a un compagno ferito.

In tutti i territori occupati Tsahal compie arresti di attivisti palestinesi durante manifestazioni pacifiche o di ragazzini di dieci-dodici anni sospettati di aver lanciato pietre contro i militari o contro i coloni. Nuovamente in violazione del diritto internazionale, gli arrestati vengono trasferiti in carceri in territorio israeliano, trattenuti in detenzione amministrativa fino a due anni senza processo e, quando anche le accuse vengono formalizzate, sono sottoposti al giudizio di un tribunale militare.

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