Una tempesta in un… barattolo di gelato

fotografia di Charles Krupa per AP Photo

 

Nelle ultime settimane ha suscitato vasta eco sui media internazionali, soprattutto israeliani e statunitensi, la dura reazione del nuovo governo di Israele alla decisione di Ben & Jerry’s, nota produttrice americana di gelati, di sospendere la vendita dei propri prodotti in Cisgiordania, nei territori occupati da Israele nel 1967 dove sorgono gli oltre duecento insediamenti illegali di coloni ebrei.

Il primo ministro Naftali Bennett ha dichiarato: “Con una decisione che giudico moralmente sbagliata, Ben e Jerry's ha deciso di etichettarsi come il gelato anti-israeliano”. Ha minacciato dure conseguenze, anche legali, è si è spinto a paragonare i consumatori dei loro gelati a fiancheggiatori di Hamas.



Il ministro degli Esteri e vice premier, Yair Lapid, il 19 luglio su Twitter ha affermato che “la decisione di Ben & Jerry's rappresenta una vergognosa resa all'antisemitismo, al BDS (Boicotaggio, Disinvestimento e Sanzioni) per i diritti del popolo palestinese e a tutto ciò che è sbagliato nel discorso anti-israeliano e anti-ebraico. Non resteremo in silenzio” e che ha “intenzione di chiedere a ciascunodegli oltre 30 stati degli Stati Uniti che hanno approvato leggi anti-BDS negli ultimi anni di applicare queste leggi contro Ben & Jerry's. Non tratteranno lo Stato di Israele in questo modo senza una risposta.”

Il presidente di Israele Isaac Herzog, uomo normalmente accorto nelle sue esternazioni, ha dichiarato che “il boicottaggio di Israele è un nuovo tipo di terrorismo, il terrorismo economico. Il terrorismo cerca di danneggiare i cittadini di Israele e l'economia di Israele. Dobbiamo opporci a questo boicottaggio e al terrorismo in qualsiasi forma”.

L’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Gilad Erdan, ha definito la decisione di Ben & Jerry’s “l'adozione de-facto di pratiche antisemite e l'avanzamento della delegittimazione dello stato ebraico e la de-umanizzazione del popolo ebraico.” Ha quindi invitato ogni singolo stato USA che ha adottato una legge contro il BDS ad applicarla contro Ben & Jerry’s.


Queste leggi sostanzialmente escludono le aziende accusate di BDS da ogni sostegno pubblico, in particolare dalla possibilità di iscriversi ai fondi previdenziali pubblici, lo strumento più utilizzato dai lavoratori per assicurarsi in futuro una pensione (in questo modo la legge colpisce soprattutto i dipendenti delle aziende, più che il fatturato delle aziende stesse). Costituiscono l’unica arma contro il BDS, assieme al rifiuto da parte di Israele di accogliere sul proprio territorio persone che abbiano aderito al boicottaggio.


Tanto rumore per nulla?

La storia di quella che è oggi una multinazionale del gelato appartiene ovviamente alla favola dell’American Dream… Ben Cohen e Jerry Greenfield, due giovani newyorkesi amici dall’infanzia, dopo essersi iscritti a un corso per corrispondenza (costo 5 dollari a testa), nel 1978 decidono di rilevare una stazione di servizio dismessa a Burlington nel Vermont e a trasformarla in una gelateria, dopo aver scoperto che la cittadina è priva di gelaterie. Cohen non ha praticamente olfatto e compensa la sua anosmia aggiungendo al gelato ogni sorta di altro ingrediente, in modo da dargli la consistenza desiderata. Questo stile multi-gusto incontra il successo dei consumatori: la gelateria diventa una fabbrica e comincia a espandersi in tutto il Paese (oggi negli Stati Uniti ci sono 200 gelaterie con il loro marchio) e poi a conquistare i mercati esteri.


Ben Cohen e Jerry Greenfield (Patrick Semansky - AP Photo)

I due, ebrei progressisti e filo-israeliani, fin dall’inizio destinano parte dei guadagni ad attività filantropiche: nello statuto inseriscono la clausola che il 7,5% degli utili lordi verrà impiegato in opere sociali. Per quarant’anni i due si impegnano in battaglie contro le trivellazioni in Alaska, la disuguaglianza economica e sociale, la discriminazione razziale e di genere, i soprusi della polizia bianca verso le minoranze, il cambiamento climatico; difendono il diritto al voto, i senzatetto, la somministrazione equa dei vaccini, l’agricoltura sostenibile, l’accoglienza per i migranti; sostengono la necessità di ridurre le spese per la sicurezza in modo da poter finanziare maggiori investimenti per l’abitazione, l’istruzione, la formazione professionale, la cura delle malattie mentali e delle tossicodipendenze. 

Il motto dei loro negozi diventa: “Pace, amore e gelato”; parole che, insieme a giustizia, inseriscono anche nella denominazione di alcuni loro prodotti.

In tutti questi anni però non spendono una parola sull’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza. Quando nel 2013 – l’azienda era già stata rilevata dal colosso anglo-olandese Unilever, ma Ben e Jerry avevano preteso di poter continuare in autonomia le loro battaglie sociali – il movimento BDS chiede loro conto del fatto che i loro gelati vengano venduti negli insediamenti illegali dei territori occupati palestinesi tramite la fabbrica israeliana licenziataria del marchio, i due fondatori replicano che non sono in grado di controllare a chi vengano venduti i loro gelati in Israele; sei mesi dopo una lettera aperta firmata da 151 organizzazioni non governative, provenienti da 29 Stati americani e da 8 altri Stati compreso Israele, non ha ottenuto alcun risultato.

La situazione cambia nel maggio 2021, quando anche negli Stati Uniti si diffonde l’indignazione per la sproporzione della risposta militare israeliana nel conflitto contro Hamas e per il gran numero di vittime civili. Il New York Times, solitamente moderato, arriva a pubblicare in prima pagina il 28 maggio, sotto l’eloquente titolo “Erano solo bambini” le immagini dei 69 minorenni uccisi negli undici giorni del conflitto – 67 palestinesi e due israeliani, di cui uno arabo e l’altro ebreo –. 

Il 19 luglio Ben & Jerry's ha comunicato di aver deciso di non vendere più i suoi prodotti nei Territori della Cisgiordania occupati da Israele. La decisione di non vendere più i suoi gelati in quelle aree di Israele – perché “sarebbe incoerente con i nostri valori” – è stata resa pubblica attraverso un messaggio su Twitter e un più dettagliato comunicato sul loro sito web, scatenando subito le reazioni sopra descritte.

Ma è proprio dal comunicato che si evince che la decisione non avrà effetto nell’immediato. Ben & Jerry’s avevano chiesto all’amministratore delegato della ditta israeliana licenziataria, Avi Zinger, di sospendere la vendita nei territori occupati; al suo rifiuto, gli ha comunicato che non rinnoverà la licenza alla sua scadenza – nel dicembre 2022! – e che successivamente troverà un’altra modalità di vendita dei propri prodotti in Israele. Quindi ancora per un anno e mezzo i sundae di Ben & Jerry’s potranno essere acquistati dai coloni israeliani e, nonostante alcuni politici – come la ministra dell’economia Orna Barbival, che ha postato un video dove getta nell’immondizia un barattolo di gelato – abbiano invitato al boicottaggio, l’associazione degli industriali israeliani ha chiesto ai consumatori di continuare a sostenere l’azienda di Avi Zinger e i suoi 160 dipendenti.

Dunque è possibile che – paradossalmente – la decisione di Ben & Jerry’s porti a un aumento del consumo dei suoi gelati in Israele, territori occupati compresi.


Un’arma spuntata?

Da quasi un ventennio un’associazione di avvocati sionisti – la Shurat HaDin Law Center – difende in ogni parte del mondo i diritti minacciati dei cittadini israeliani e ovviamente ha più volte avviato cause negli Stati Uniti basandosi sulle leggi anti BDS. Le poche volte che le cause sono arrivate nell’aula di un tribunale, il giudice le ha sempre rigettate, ritenendo le leggi anti BDS contrarie al primo e al quattordicesimo emendamento della Costituzione sulla libertà di espressione. Si trattava però di cause che riguardavano singole persone o piccole aziende e i risultati non sono arrivati all’opinione pubblica. Ovviamente i legali di Shurat HasDin sono in prima linea nell’offensiva contro Ben & Jerry’s: già cinque Stati hanno chiesto di applicare misure che prevedano il boicottaggio di Unilever, ma il problema è che Ben & Jerry’s ha la propria sede nel Vermont, dove non esiste una legge anti BDS. 



Inoltre i responsabili dell’azienda hanno finora risposto in modo pacato, ma fermo alle accuse mosse scompostamente dal governo israeliano. Ben Cohen, in un’intervista rilasciata al New York Times, ha ribadito che “come sostenitori ebrei dello Stato d'Israele, rifiutiamo fondamentalmente l'idea che sia antisemita mettere in discussione le politiche dello Stato d'Israele”, mentre l’amministratrice delegata di Ben & Jerry’s, Anuradha Mittal, durante un webinar organizzato da American for Peace Now, ha ripetuto che “la decisione di Ben & Jerry non è contro Israele. Non si tratta di boicottare Israele. La decisione è stata che la vendita del nostro gelato nei Territori palestinesi occupati non è coerente con i nostri valori”.

Di fronte a queste difficoltà, Shurat HaDin è ricorsa a un trucco al limite della deontologia professionale: ha creato un’imitazione del gelato contestato. La confezione è identica a quella originale di Ben e Jerry’s con due sole, significative aggiunte: la scritta “il miglior [gelato] della Giudea e Samaria”, cioè il nome con cui gli ebrei si riferiscono alla Cisgiordania e, a fianco della mucca, marchio di fabbrica del gelato americano, hanno stampato l’immagine di Theodor Hertzl, il padre del sionismo.

Il fine è chiaro: costringere Unilever a denunciare il falso commerciale a un tribunale israeliano, in modo da poter accusare davanti a un giudice amico l’antisemitismo della decisione di escludere dalla vendita i territori palestinesi occupati, ma finora la società anglo-olandese non ha abboccato.


Giunto al fin della licenza...

Che risultato avrà l’aver trasformato una banale lite commerciale in una guerra contro un fantomatico nemico terrorista antisemita? Innanzitutto aver distratto l’opinione pubblica interna e internazionale da ben più rilevanti fatti avvenuti nelle stesse settimane: le violente intimidazioni e provocazioni dei coloni nei territori occupati, quasi sempre con la connivenza dell’esercito israeliano; l’uccisione, il pestaggio o l’arresto arbitrario di decine di civili palestinesi spesso adolescenti; la distruzione delle precarie abitazioni e delle stalle dei beduini; l’esproprio – contrabbandato come “sfratto” – dei proprietari palestinesi dalle loro abitazioni a Gerusalemme est.

Un altro risultato, certamente indesiderato, è aver mostrato a molti ebrei, dentro e fuori Israele, l’inaffidabilità caratteriale dei loro politici, grazie al loro abuso di termini quali “antisemitismo” e, addirittura, “terrorismo”.

E poi? Tra qualche mese nessuno ricorderà più la cosa; le soldatesse dell’IDF continueranno ad assaporare il Vermonster di Ben & Jerry’s  e, quando non lo troveranno più negli scaffali dei negozi, passeranno senza problemi al meno ricco, ma più economico – e soprattutto “nostrano” – gelato di Strauss & Osem (e chi è il maggior azionista del più affermato produttore di gelati israeliano? Ovviamente sempre Unilever!)





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