Il mito del deficit



“Stephanie Kelton è riuscita a sollevare un dibattito che sembrava tabù fino a poco fa, avviando una radicale riconfigurazione del pantheon degli dèi economici che si rivelerà essenziale in un mondo post Covid-19”

(The Guardian)


Nel giugno 2020 è uscito nelle librerie degli Stati Uniti l’atteso libro di Stephanie Kelton The Deficit Mith: Modern Monetary Theory and the Birth of the People’s Economy che, nonostante l’argomento economico, è diventato un Bestseller. A dicembre è uscita la traduzione italiana. Stephanie Kelton è forse la più nota esponente della Teoria Monetaria Moderna (MMT): nel 2015 era consulente economica del partito democratico nella Commissione Bilancio del Senato dove sedeva Bernie Sanders; l’anno successivo ha scritto la parte economica del programma con cui il senatore del Vermont si è presentato alle primarie per le elezioni presidenziali; da allora è capo dello staff di economisti per il partito democratico al Congresso; qui ha trovato la disponibilità di Alexandria Ocasio-Cortez a diventare testimonial politica della MMT. Il risultato? Il 70% degli americani conosce questa teoria e, di questi, la metà pensa che sia la ricetta più giusta per uscire dalla crisi economica. Nonostante la sua recente affermazione presso l’opinione pubblica, la MMT è nata trent’anni fa grazie agli studi sulla moneta di Larry Randall Wray e del suo staff, fra cui c’era una giovanissima Stephanie Kelton. È un approccio economico eterodosso, controcorrente e per questo criticato sia da “destra”, dagli economisti neoliberisti, che da “sinistra”, dai post-keynesiani classici.

La MMT in pillole

Cosa ha la MMT di così rivoluzionario da attirarsi tante critiche, per di più bipartisan? Semplicemente capovolge l’abituale operato delle banche centrali, impegnate solo a controllare il livello dell’inflazione, e l’approccio economico prevalente dei governi, attenti a “tenere i conti in ordine” e a non eccedere con le uscite (la spesa pubblica) rispetto alle entrate (prevalentemente dovute all’imposizione fiscale). Per la MMT ogni Stato dotato di sovranità monetaria, cioè che possa emettere la propria moneta, può stampare tanto denaro quanto gli serve, senza preoccuparsi né di inflazione né di deficit.

L’unico limite all’immissione di liquidità nel sistema è quello della capacità di quest’ultimo di produrre i beni e i servizi richiesti, essendo l’obiettivo finale della teoria il raggiungimento della piena occupazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro), cioè il loro utilizzo al 100%. Solo con il superamento di questo limite – secondo gli economisti come Stephanie Kelton – inizia una fase inflattiva dovuta a un eccesso di domanda che è necessario contrastare con un aumento della tassazione.

In estrema sintesi i principi fondanti della Teoria Monetaria Moderna sono che uno Stato dotato di sovranità monetaria, cioè che emette la propria moneta:

  • può pagare beni, servizi e attività finanziarie senza dover prima riscuotere denaro sotto forma di tasse o di emissione di titoli di debito;

  •  non può fallire, cioè essere considerato insolvente per debiti denominati nella propria valuta;

  • è limitato nella sua creazione di denaro e negli acquisti solo dal livello di inflazione da parte dell’offerta, che cresce eccessivamente quando le risorse reali (lavoro, capitale e risorse naturali) dell'economia sono utilizzate a pieno impiego;

  • è in grado di controllare l'inflazione da parte della domanda aumentando le imposte per rimuovere dalla circolazione la moneta in eccesso;

  • quando emette titoli di debito pubblico non incide sulla propensione al risparmio del settore privato, perché nel sistema monetario moderno non c'è una vera e propria differenza tra il denaro depositato in banca e i titoli di debito, essendo entrambe forme di liquidità garantite dallo Stato.

Da qui si evince che la Teoria Monetaria Moderna, come più volte ricordato dai suoi stessi sostenitori, si applica solamente ai Paesi dotati di sovranità monetaria. In Europa quindi si potrebbe applicare, a esempio, nel Regno Unito che ha la facoltà di stampare le lire sterline di cui ha bisogno. Non si applica ai 19 Paesi, inclusa l’Italia, che hanno rinunciato alla propria sovranità monetaria aderendo all’euro; paradossalmente non si applica neppure a sei degli otto Paesi membri – con la sola esclusione di Croazia e Repubblica Ceca – che hanno conservato la propria moneta, ma hanno aderito al Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria (più noto come Fiscal Compact).

Per adottare l’MMT la zona Euro dovrebbe rivedere profondamente il suo funzionamento e il ruolo delle sue istituzioni. Il cambiamento di mentalità sarebbe profondo. Tuttavia, l’Europa, pur non avendo niente di simile al conto corrente che il governo britannico ha presso la banca d’Inghilterra, con il Quantitative Easing della BCE già opera da anni l’acquisto indiscriminato di titoli del debito pubblico statali, inondando di liquidità il sistema.
Questo, pur in modo parziale e incompleto, mostra che questo tipo di politica è già tecnicamente possibile.


A chi fa paura la MMT (e perché)

All’apprezzamento nell’opinione pubblica nei confronti della MMT si contrappone, come detto, la diffidenza degli economisti, anche quelli più progressisti fra i post-keynesiani, ma soprattutto l’aperta ostilità della classe politica e dei governatori delle banche centrali, legati i primi al dogma che ogni spesa vada compensata da un equivalente prelievo fiscale, cioè che solo le entrate possano consentire la spesa pubblica; i secondi fedeli al pressoché esclusivo compito di tenere sotto controllo l’inflazione.

Gran parte del libro è dedicato a smontare, a una a una, le obiezioni opposte alla teoria, obiezioni che fanno esplicito riferimento a pilastri ritenuti fondamentali dell’economia pubblica e che Stephanie Kelton definisce miti da sfatare. Sono sei:

  • che il bilancio di uno Stato sia come quello di una grande famiglia (in fondo l’etimologia del termine economia si riferisce alle regole per l’amministrazione della casa);

  • che i disavanzi siano il risultato di un eccesso di spesa;

  • che il deficit sia un peso che ricadrà sulle prossime generazioni;

  • che per ripianare il deficit lo Stato prelevi risparmio privato – con un aumento della tassazione o l’emissione di titoli di debito – che potrebbe invece essere investito per far crescere il prodotto interno lordo (è l’unico mito sul quale gli economisti sono davvero intransigenti);

  • che il deficit faccia aumentare la dipendenza da altri Paesi;

  • che la spesa assistenziale e previdenziale porti nel medio o lungo periodo a una crisi fiscale.

È paradossale che sulla maggior parte delle tesi che compongono la MMT gli economisti e i banchieri siano d’accordo, salvo poi contestare la teoria nel suo complesso. Esemplare è il caso dell’ex governatore della Federal Reserve, il tradizionalista Alan Greenspan. In un’audizione alla Camera nel 2005, l’allora governatore Greenspan affermava testualmente: “Non credo che esista un rischio di mancanza di fondi, nel senso che non c’è nulla che impedisca al governo di stampare tutti i soldi che servono per finanziare i suoi programmi. La giusta domanda da porsi è un’altra: come assicurare che il nostro sistema continui a essere capace di produrre e fornire tutti i beni che devono esser acquistati per questi programmi?”. Nel 2019, intervistato sulla applicabilità della MMT nel finanziare il Green New Deal proposto dalla democratica Alexandria Ocasio-Cortez, Greenspan ha risposto – smentendo quanto affermato anni prima – che la teoria non poteva funzionare perché non considerava l’esistenza del mercato dei cambi, sottintendendo che l’emissione di denaro per finanziare il GND avrebbe potuto provocare una iperinflazione (con conseguente perdita del potere d'acquisto della moneta).

I deficit che contano davvero

Un deficit non è altro che un gap fra ciò che abbiamo e ciò che ci serve, il deficit pubblico è una preoccupazione centrale per la MMT ma non è il deficit di bilancio pubblico a cui tutti si riferiscono, inteso come l’eccesso di spesa rispetto alle entrate. Le politiche di spesa pubblica dovrebbero affrontare i deficit che contano veramente:

  • Il deficit di buoni posti di lavoro

  • Il deficit di risparmio

  • Il deficit di cure sanitarie

  • Il deficit di istruzione

  • Il deficit di infrastrutture

  • Il deficit climatico

  • Il deficit democratico

Un lungo capitolo nella parte finale dell’opera è dedicato ai veri problemi che dovrebbero interessare i governi e che dovrebbero essere affrontati e, possibilmente, risolti con le politiche della spesa pubblica.

Stephanie Kelton, nel suo libro, fa riferimento ai problemi che affliggono l’economia statunitense e riflettere sulle piaghe, più o meno nascoste, di quella che era (minacciata oggi dalla Cina) la più potente economia del mondo. Ma è facile scoprire quanto la maggior parte di questi problemi siano comuni a tutto il mondo occidentale e ricordano i ben più visibili deficit che affliggono il nostro Paese. In Italia la MMT non ha la stessa notorietà che negli USA, anche perché il nostro Paese non ha sovranità monetaria, ma è interessante verificare l'impatto che i deficit reali hanno sulla vita degli italiani oggi, confrontando la situazione americana con quella italiana. A questo confronto saranno dedicati alcuni dei prossimi post.


 

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