Religione e nazionalismo

 


Il trumpismo ha un futuro indipendente da Trump ed è: nazionalista, religioso e antiliberale

(Maya Kandel)


Il trumpismo: un abito su misura

In questi giorni i media di tutto il mondo si sono ovviamente occupati dell’assedio al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump e della responsabilità del presidente uscente nell’averli incoraggiati.

Il limite di questi articoli, commenti e inchieste è la loro personalizzazione, certo giustificata dalla personalità eccessiva e imprevedibilmente impulsiva del presidente, ma che rischia di suggerire che sia necessario (e sufficiente) cancellare Trump per rimuovere il trumpismo.

In tempi non sospetti, in un’intervista rilasciata a Le Monde il 16 ottobre, due settimane prima delle elezioni presidenziali del 3 novembre, Maya Kandel sostiene invece che il trumpismo sia un’armatura ideologica costruita da altri intorno alla figura di Trump dopo la sua vittoria alle elezioni del 2016 e che sia destinata a sopravvivergli, indipendentemente da quale sarà il futuro politico di Donald Trump.

Maya Kandel premette che Trump non è un politico, ma un uomo d’affari e di spettacolo, con una grande padronanza della comunicazione e del messaggio mediatico. Il suo modo di procedere, durante le primarie repubblicane del 2015 e le elezioni 2016, è stato guidato dalla sua capacità imprenditoriale, non dai valori in cui credeva: a lungo vicino ai Democratici, sia con i suoi contributi alle campagne elettorali democratiche che per le sue prese di posizione “liberali” – come a esempio sull'aborto – si è candidato per i Repubblicani perché ha ritenuto che in quel partito avrebbe avuto maggiori chance di vittoria. Poi, per definire il proprio programma elettorale – su consiglio dello stratega che si era scelto per la campagna, Steve Bannon – si è affidato a Cambridge Analytica, importante azienda di consulenza e per il marketing online di cui Bannon era stato vicepresidente. Proprio nel 2015, Cambridge Analytica aveva ottenuto illecitamente cinquanta milioni di profili di utenti Facebook, soprattutto statunitensi (cosa che ha ammesso solo nel 2018, quando il New York Times e il Guardian stavano per pubblicare un’inchiesta che ne portava le prove) e, in base alle tracce lasciate durante la loro navigazione in Internet (quanti “mi piace” e su quali post, dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono i loro contenuti) aveva ricavato uno sterminato archivio di “profili comportamentali” cui indirizzare messaggi altamente mirati, attraverso un gran numero di finti account gestiti automaticamente. A Trump era stato descritto il suo elettorato di riferimento: l’America bianca, rurale, non istruita e caratterizzata da un forte legame con la religione. Questo ha permesso a Trump di calibrare messaggi precisi, rivolti a gruppi di elettori costitutivi del Partito Repubblicano e chiarisce, per esempio, le ragioni della sua alleanza con il movimento anti-abortista e, più in generale, con gli evangelici, ai quali ha promesso di nominare i “loro” giudici, scelte che non avevano alcun rapporto con le sue personali convinzioni.

Trump ha così vinto le elezioni nel 2016 – oltre che per aver sfruttato le particolarità del sistema elettorale statunitense che premia chi vince in molti piccoli Stati anche se perde nei più popolosi – sposando le cause dei gruppi d'interesse e degli elettori utili alla sua elezione, senza cercare una coerenza ideologica.

Questa coerenza è stata costruita a posteriori, durante il suo mandato presidenziale, e i suoi principali autori sono stati:

  • il già ricordato Steve Bannon (67 anni) giornalista, politico, produttore cinematografico e politologo statunitense, ex banchiere d'investimento, direttore esecutivo del sito web di estrema destra Breitbart News e, soprattutto, suo ex capo stratega. È stato Bannon, che già aveva infarcito con le tematiche dell'estrema destra la campagna di Trump, che lo ha condotto a riconoscere i punti condivisi con Andrew Jackson – il settimo Presidente degli Stati Uniti, noto per il suo populismo in politica interna e la sua politica di “pulizia etnica” degli Amerindi – di cui ha appeso il ritratto nello Studio Ovale. Per ripagarlo dei suoi servigi, Trump - nell'ultimo giorno del suo mandato - ha concesso a Bannon, accusato di truffa, la grazia;

  • Stephen Miller (35 anni) che è stato primo consigliere del Presidente Trump: esponente dell'estrema destra repubblicana e favorevole a politiche contro l'immigrazione, è stato uno degli ispiratori del Travel Ban, il blocco dell'immigrazione negli Stati Uniti dalla maggior parte dei Paesi a maggioranza musulmana;

  • ma, soprattutto, il meno noto Yoram Hazony (57 anni), fautore di un conservatorismo nazionale fondato su una legittimazione religiosa.

Stephen Miller (a sinistra) e Steve Bannon (a destra), alla Casa Bianca il 23 gennaio 2017, durante la cerimonia per la firma del Travel Ban
Jabin Botsford - Getty Images

È stato il messaggio organico di nazionalismo, conservatorismo religioso e anti-liberalismo ad affascinare i gruppi che sono diventati i più fanatici sostenitori di Trump e che, non a caso, sono per la maggior parte nati durante il suo mandato presidenziale. Se si escludono formazioni dell’ alt-right già presenti da anni nel panorama politico statunitense, come i Three Percenters (2008) e gli Oath Keepers (2009), molti gruppi sono nati successivamente:

  • i più noti, i Proud Boys, un'organizzazione di estrema destra e neofascista per soli uomini che promuove e si impegna nella violenza politica negli Stati Uniti e in Canada, sono nati a sostegno della campagna elettorale per le presidenziali del 2016 e si sono organizzati a partire dal primo anno di presidenza del loro beniamino;

  • i Thin Blue Line (in origine una società di e-commerce nata nel 2014 per sostenere le forze di polizia) sono un gruppo di suprematisti bianchi che, riuniti a Charlottesville nel 2017, ha adottato come proprio simbolo quello dell’impresa commerciale (una bandiera statunitense con inserita una striscia blu a richiamare il colore della divisa di molte polizie americane);

  • Boogaloo, movimento politico di estrema destra, antigovernativo ed estremista è stato fondato nel 2019 ed è noto anche come “la milizia”, dal momento che i suoi membri sono soliti presentarsi alle manifestazioni pesantemente armati;

  • ma il movimento che maggiormente sostiene Donald Trump, considerandolo il paladino che sconfiggerà tutti i nemici che minacciano l’America e il mondo, è nato in piena era trumpiana: QAnon ha preso avvio meno di quattro anni fa negli Stati Uniti da un anonimo utente di un sito web per immagini anime, 4chan, che con lo pseudonimo/nickname di Patriota Q (lettera non scelta a caso, perché identifica il codice di chi, nell’amministrazione americana, ha accesso ai documenti più top secret) ha cominciato a diffondere messaggi sull’allarmante diffusione della pedofilia, attribuendola a una setta satanica segreta denominata Cabal, che, attraverso le sue emanazioni (Deep State) sta tramando per imporre un Nuovo Ordine Mondiale.

Religione e nazionalismo

Chi ha dato un’anima alla costruzione ideologica del trumpismo è stato, come detto, il meno noto dei consiglieri di Trump, il filosofo e biblista israeliano Yoram Hazony, autore del bestseller sovranista Le virtù del nazionalismo. Secondo lo studioso israeliano che si divide fra Gerusalemme e Princeton, la religione è alla base del nazionalismo. È nella Bibbia che si trova il primo esempio di Nazione, quando Dio ha assegnato a Mosè un territorio con confini precisi non solo fisici, ma anche etnici perché segnavano la separazione dalla diversità delle popolazioni confinanti…


È evidente che questo nazional-conservatorismo religioso abbia attratto l’attenzione prima di Benjamin Netanyahu, poi di Viktor Orbán e infine di Donald Trump.

Il nazionalismo di Hazony, oltre che fondato su una base religiosa, si connota come conservatore e anti-liberale, in tutte le diverse accezioni di questo termine.

  • è contro i valori liberal, le idee progressiste, dai diritti delle minoranze fino alla nozione stessa di universalismo, cioè di valori estensibili all’intera umanità; in questo si avvicina alla democrazia illiberale imposta in Ungheria dal partito Fidesz di Orbán o alla democrazia imperfetta di Israele, “una democrazia illiberale che funziona molto bene”, secondo l’Economist Intelligence Unit’s Democracy Index;

  • è anti-neoliberista perché critica, in effetti, gli eccessi della deregulation degli anni Ottanta, con la “denazionalizzazione” delle multinazionali e l'aumento senza precedenti delle disuguaglianze, distruttrici delle classi media e operaia. Questa critica, applicata agli Stati Uniti, introduce l’elemento cui il nazionalismo conservatore si oppone maggiormente: la globalizzazione neoliberista di cui ha beneficiato la Cina, con la complicità di un'élite economica e politica americana in disprezzo del popolo;

  • rifiuta l’“ordine liberale internazionale”, cioè delle istituzioni sovranazionali – come l’ONU, l’OMS, l’Unesco, la Banca Mondiale, la NATO – ormai considerate non solo obsolete, ma che limitano la sovranità americana, favorendo gli avversari degli Stati Uniti che, in virtù del loro numero, sono la maggioranza in questi organismi.

La definitiva consacrazione del trumpismo come conservatorismo nazionale avviene nel convegno organizzato da Hazony nel luglio 2019 a Washington, cui hanno partecipato giornalisti (come Tucker Carlson, commentatore politico filo-trumpiano dell'emittente televisiva Fox News), politici (come John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, o il giovane senatore del Missouri Joshua Hawley) e studiosi della destra conservatrice (come Christopher DeMuth e Arthur Milikh del think tank neo-conservatore Hudson Institute, Charles Kesler di un altro importante think tank conservatore, il Claremont Institute).

L’obiettivo del convegno era, oltre a dare una struttura ideologica al trumpismo, ricompattare il fronte dei conservatori, una parte dei quali era diffidente verso il nazionalismo, avendo sposato – dopo la caduta del Muro di Berlino – l’obiettivo di un “ordine liberale globale” costruito dai Paesi occidentali governati dalla destra. Hazony intendeva dimostrare invece come il richiamo all’identità nazionale facesse parte a pieno titolo della tradizione conservatrice americana.


Una promessa mantenuta: la Corte Suprema

La Corte federale suprema degli Stati Uniti dovrebbe essere per prassi uno specchio quanto più possibile fedele della società statunitense: per questo motivo i Presidenti in carica, cui spetta di indicare il nominativo del giudice chiamato a ricoprire un posto vacante, nominano giuristi liberali (se il Presidente è democratico) o conservatori (se repubblicano). Per lo stesso motivo si è voluto garantire una rappresentanza femminile – tre degli attuali giudici lo sono – e delle minoranze etniche: Clarence Thomas per la minoranza afro-americana e Sonia Sotomayor per quella ispanica.

Il sostegno degli evangelici bianchi a Trump nelle elezioni del 2016 (a differenza degli evangelici neri, che sostengono i democratici) era legato alla convinzione che la società americana avesse rinnegato i propri fondamenti cristiani sotto la pressione di una giustizia in mano dei democratici, sia che si tratti della legalizzazione dell'aborto, del matrimonio gay, o anche dei diritti civili per alcune categorie. La destra evangelica intendeva quindi, grazie a Trump, condurre il contrattacco con lo stesso mezzo, cioè un rinnovamento dei giudici e di tutto il sistema giudiziario.

Ora, Trump ha mantenuto i suoi impegni, nominando più di un quarto dei giudici dell'influente Corte d'Appello di Washington sotto la cui giurisdizione ricade il Congresso e le molte agenzie governative degli Stati Uniti che hanno sede nella capitale federale e, soprattutto, tre nuovi giudici conservatori alla Corte Suprema. Ora i nove giudici che compongono la Corte, nominati a vita come tutti i giudici federali, sono sei conservatori e solo tre liberali, una situazione destinata verosimilmente a caratterizzare la suprema giustizia per i decenni a venire, considerato che i tre giudici nominati da Trump (Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett) hanno tutti meno di 55 anni.

La cosa curiosa, ritornando alla composizione della Corte che rispecchi la società americana, è che non vi è rappresentata la religione protestante cui, nelle diverse confessioni, aderisce poco meno della metà degli statunitensi. I sei giudici conservatori sono tutti cattolici, sebbene siano stati indicati: uno dal presidente episcopaliano George Bush padre, due dal metodista George Bush figlio e gli ultimi tre dal presbiteriano Donald Trump. Anche i giudici indicati da Bill Clinton e da Barack Obama sono una cattolica e due ebrei.

La presenza di giudici conservatori cattolici nella Corte suprema riflette la crescente influenza degli intellettuali cattolici conservatori all’interno del Partito Repubblicano, che la docente francese Blandine Chelini-Pont ha descritto come la “colonizzazione cattolica della destra americana”.

La chiesa cattolica tradizionalista sostiene apertamente Trump, al pari degli evangelici, specialmente dopo la sua svolta antiabortista. Si è a lungo ironizzato sui media statunitensi sulla presenza di tre suore in prima fila a un raduno elettorale di Trump a Centreville in Ohio e si è insinuato che potessero essere figuranti assunti allo scopo, ma in realtà erano davvero monache del locale convento delle “Figlie di Maria”, venute a sostenere il loro beniamino con tanto di mascherina con la scritta MAGA (Make America Great Again).


Il Trumpismo sopravviverà a Trump?

Maya Kandel ne è certa: quello che sopravviverà è la ridefinizione nazionalista religiosa del Partito Repubblicano, ovvero un conservatorismo nazionale che si sbarazzi dalle esagerazioni verbali di Trump e del sostegno ai suprematisti bianchi, potendo fare affidamento sulla principale eredità della presidenza Trump, l’occupazione conservatrice del potere giudiziario.

Ne è certo anche uno dei relatori del convegno di Washington, Christopher DeMuth che, pochi mesi dopo il convegno, aveva scritto sulla rivista del think tank neo-conservatore Claremont Institute: “Il trumpismo ha un'essenza e questa essenza è il nazionalismo. È la versione americana della rinascita dello spirito di nazione nelle ricche democrazie occidentali. È più importante della personalità e del programma del presidente Trump, ed è certo che durerà più a lungo della storia e del destino del suo mandato.”

Infine, lo conferma uno degli spettatori della tre giorni di Washington, lo scrittore americano e studioso sugli effetti dell’immigrazione sulle politiche europee, Thomas Meaney, in un recente articolo dall’eloquente titolo Il trumpismo dopo Trump. Il movimento sopravviverà all'uomo?: “I trumpisti sopravviveranno alla fine di Trump, ma erediteranno anche i numeri da circo di Trump. I meno brillanti nazional-conservatori continueranno a sostenerne la rappresentazione, mentre i più seri vorranno inserire nel mix un vero e proprio programma popolare.”

In ogni caso, il trumpismo ha un futuro dopo Trump.

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Maya Kandel, laureata alla Columbia University, è ricercatrice associata all'Università di Parigi-III Sorbona-Nouvelle (CREW). Come studiosa del Congresso americano, è autrice di saggi ed articoli sulla politica americana, con una particolare attenzione a quella estera: nel 2018 ha pubblicato Les Etats-Unis et le monde de George Washington à Donald Trump, un’approfondita analisi della politica estera degli Stati Uniti dalla sua nascita a oggi.


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