India: la questione agraria

 

Sonu Mehta | Hindustan Times via Getty Images

Nonostante tutte le sue inefficienze e i ritardi nei pagamenti, gli agricoltori indiani preferiscono vendere ad agenti governativi ai prezzi minimi di sostegno stabiliti. La loro lotta, per il momento, ha ottenuto un primo risultato bloccando una riforma ingiusta, ma servirà la volontà popolare e politica per evitare di dover soccombere alla volontà delle prerogative globali.


La prospettiva globale delle proteste dei contadini indiani

Lo scorso settembre in India il parlamento ha approvato una riforma agraria che ha preoccupato e indignato gli agricoltori locali. Le tre leggi della riforma promossa dal governo Modi implicano una massiccia liberalizzazione del settore agricolo, dando la possibilità agli agricoltori indiani di vendere a chiunque a qualsiasi prezzo invece di cedere i raccolti a depositi statali a un prezzo fisso. Accade in un Paese dove il 70% delle famiglie dipende dal lavoro agricolo, impoverito negli ultimi anni dalle ricorrenti siccità e aggravato con la pandemia. In particolare la riforma prevede:

  • la modifica dell'applicazione delle zone commerciali, cioè i mercati regolati dallo Stato con il prezzo minimo garantito e apre al commercio elettronico dei prodotti agricoli, la cui dimensione sfugge agli attori tradizionali degli Stati e agevola i grandi attori nazionali e transnazionali del settore agroalimentare;

  • vengono eliminati alcuni prodotti (cereali, legumi, oli alimentari, cipolle) dai listini che garantivano la regolamentazione dei prezzi e dei volumi di acquisto. Non si tratta solo delle tariffe minime di sostegno, ma della sopravvivenza dell'intero sistema di approvvigionamento pubblico e di distribuzione nazionale dei cereali che fornisce un minimo di sicurezza alimentare a un gran parte della popolazione;

  • si crea un nuovo quadro di riferimento per l'agricoltura a contratto. Questa può essere definita come un accordo tra agricoltori e aziende di trasformazione e/o commercializzazione - comprese multinazionali - sulla coltivazione di prodotti agricoli in base a contratti a termine, spesso con prezzi predeterminati. Con la nuova legge i contratti non sono più tutelati dal diritto nazionale ma dal diritto internazionale dato dall'Accordo sull'agricoltura, aprendo la porta ad ogni tipo di manipolazione dei prezzi.

Il primo ministro difende l’iniziativa affermando che porterà grandi vantaggi a decine di milioni di contadini, perché promuove una maggiore circolazione dei prodotti agricoli da uno Stato all'altro e al loro interno. Ma le proteste in tutto il paese, supportate anche da altre categorie, non si fermano con uno sciopero che dura ormai da 2 mesi.

La Corte Suprema indiana, in un’ordinanza emessa pochi giorni fa, ha sospeso la nuova riforma agraria, posticipando "fino a data da destinarsi" le tre leggi di liberalizzazione del mercato agricolo. Ciò nonostante, in occasione della festa della repubblica del 26 gennaio, le organizzazioni contadine hanno annunciato un enorme raduno di trattori verso la capitale, affermando che i contadini non torneranno nei campi fino a quando non avranno ottenuto garanzie di tutela dei loro diritti.

Danish Siddiqui/Reuters

Ma la protesta continua

Lo scorso 30 dicembre Utsa Patnaik, professoressa di Economia alla Università Jawaharlal Nehru (Nuova Delhi) ha aggiunto un interessante punto di vista sulla prospettiva globale delle proteste dei contadini. Per la professoressa i paesi industriali del Nord (Stati Uniti, il Canada e l'Unione Europea) stanno ricostruendo lo scenario economico del periodo coloniale, esercitano da più di un ventennio un'incessante pressione sui Paesi in via di sviluppo affinché rinuncino ai loro sistemi di approvvigionamento pubblico dei cereali - che dovrebbero acquistare dai Paesi avanzati, dove si producono in eccedenza - e dirottando al tempo stesso la produzione alimentare verso coltivazioni su contratto di colture tropicali e subtropicali da esportazione che i Paesi industriali vogliono ma non possono produrre da soli.

I paesi che hanno ceduto a questa pressione (dalle Filippine a metà degli anni Novanta al Botswana) ne hanno pagato il prezzo quando, con la rapida crescita dell'utilizzo di cereali per la produzione di etanolo negli Stati Uniti e nell'Ue, ai danni dell'utilizzo alimentare, i prezzi mondiali dei cereali sono triplicati nel giro di pochi mesi dalla fine del 2007, e sono stati causa di rivolte per il cibo con le popolazioni urbane spinte verso una maggiore povertà.

In questo momento nei paesi avanzati c'è una spinta ancora maggiore verso l'energia verde che porterà a una conversione ancora più sostanziosa del grano in etanolo quindi "le importazioni iniziali di grano a basso prezzo, se consentite oggi, non solo distruggeranno i nostri agricoltori, ma presto lasceranno il posto a uno scenario di picchi dei prezzi e al disagio urbano come quello vissuto in precedenza dai paesi in via di sviluppo costretti a dipendere dalle importazioni. Chiunque si preoccupi dei nostri agricoltori che lavorano duramente e dei nostri consumatori in condizioni di povertà deve sostenere le richieste degli agricoltori contro le macchinazioni delle élite commerciali locali e globali." dice la professoressa Utsa Patnaik.

E ha ragione:gli Stati Uniti hanno denunciato all'Organizzazione Mondiale del Commercio che il sostegno ai prezzi in India nel periodo 2013-14 fosse molto superiore al 10% consentito dall'Accordo per l'agricoltura. Nell'Accordo del 1994 per calcolare il sussidio si fa riferimento al tasso di cambio del 1986-88 di 12,5 rupie per dollaro, in base a quel tasso di cambio il sostegno ai prezzi indiano è pari al 67% dei valori di produzione dei cereali, però valutandolo al tasso di cambio nel 2013-14 di 60,5 rupie per dollaro il sostegno effettivo è di fatto inferiore a quanto permesso. Questo è l'atteggiamento intimidatorio e colonialistico che gli agricoltori indiani stanno combattendo convinti che la deregolamentazione dei mercati, imposta dalla riforma agraria voluta da Modi significherebbe un grave indebolimento dell'intero sistema di approvvigionamento. Infatti mentre i paesi avanzati a metà degli anni '90 hanno convertito le proprie misure di sostegno dei prezzi in massicci sussidi dati sotto forma di trasferimenti diretti in contanti ai propri agricoltori, trasferimenti che nell'Accordo sull'agricoltura sono "non soggetti a impegni di riduzione", in India, il sistema di sostegno dei prezzi è di fatto l'unico possibile, poiché dare trasferimenti diretti a 120 milioni di agricoltori significherebbe dedicargli il 50% dell'intero budget annuale del governo centrale.

La sicurezza alimentare per i Paesi in via di sviluppo è una questione troppo importante per essere lasciata al mercato globale e gli agricoltori indiani non vogliono avere a che fare con potenti aziende private capaci di rinnegare i contratti di prezzo e quantità quando fa loro comodo. Nonostante tutte le sue inefficienze e i ritardi nei pagamenti, preferiscono vendere ad agenti governativi ai prezzi minimi di sostegno stabiliti. La loro lotta, per il momento, ha ottenuto un primo risultato bloccando una riforma ingiusta, ma servirà la volontà popolare e politica per evitare di dover soccombere alla volontà delle prerogative globali.

Post popolari in questo blog

La guerra e la comunità internazionale

Il pezzo sovraccarico