L'Apartheid del Vaccino

Poiché una pandemia può essere superata solo quando viene superata ovunque, abbracciare un approccio “ogni paese per sé” sembrerebbe irrazionale. Eppure, come indica l’indecorosa competizione per le dosi di vaccino, questo è esattamente ciò che molti Paesi hanno fatto.

 

La pandemia si risolverà solo con il vaccino, questo è stato chiaro dal primo caso ufficiale a Wuhan. Da allora tutti gli studiosi, i ricercatori, le case farmaceutiche, le università si sono messi all'opera per cercare la SOLUZIONE.

Sono stati destinati ingenti investimenti pubblici e privati per la ricerca, perché la paura del contagio e la mortalità annessa hanno richiesto decisioni drastiche sia per l'economia sia soprattutto per la vita sociale praticamente di tutto il globo.

Normalmente l'approvazione di una soluzione richiede tempi lunghi che consentono di vedere e valutare l’efficacia nel breve e lungo periodo, gli effetti collaterali di breve e lungo periodo e di intrecciare i risultati di diverse ricerche e prove allo scopo di migliorarne l'efficacia.

Buona parte di questo tempo di "raffinazione" avviene attraverso ricerche universitarie che poi vengono "direzionate" su alcune specificità dal supporto economico delle case farmaceutiche, che ovviamente investono nei campi in cui la produzione e quindi la vendita sarà maggiore.

Per intenderci, le campagne a sostegno delle ricerche per le malattie rare vengono fatte perché le case farmaceutiche non sono interessate ad investire in ricerche con una bassa produzione, una pandemia invece prevede un livello di produzione che va oltre le possibilità di qualsiasi singola casa farmaceutica. Per questo tutte le case farmaceutiche si sono messe a disposizione per vaccinare il mondo intero. Eppure, invece di fare investimenti sulla capacità produttiva che avrebbe permesso di disporre di un quantitativo di vaccino sufficiente a coprire una buona percentuale di popolazione mondiale, le case farmaceutiche hanno investito nella velocizzazione del processo di realizzazione del vaccino.

Questo perché tutti gli Stati colpiti dalla prima ondata della pandemia, compresi quelli che partecipano all'OMS (organizzazione mondiale della sanità), hanno chiesto di fare presto perché la pandemia si risolverà solo con il vaccino. Creare una collaborazione internazionale per sviluppare la soluzione migliore, che magari avrebbe richiesto più tempo, non è stata la strategia scelta, si è preferito moltiplicare le possibilità di riuscita con una gara a chi realizza la prima soluzione utile. Poiché ogni casa farmaceutica ha un limite di produzione iniziale, si è creato un circolo vizioso in cui le singole nazioni gareggiano per accaparrarsi le primissime dosi di ogni singolo vaccino, al punto che, opzionando quantità rilevanti di vaccini di ogni tipo (che sommate sono di molto superiori alle necessità dei singoli Paesi), si rischia di avere nazioni vaccinate e nazioni non vaccinate, e quindi, con una pandemia che colpisce soprattutto la mobilità, anche con il vaccino si continuerebbe a bloccare la mobilità di molte aree e si creerebbe un vero e proprio apartheid del vaccino.

Strumento per superare questo problema è COVAX, la collaborazione globale - citata nell'articolo - per accelerare lo sviluppo, la produzione, l'accesso equo ai vaccini COVID-19 e, soprattutto la loro distribuzione gratuita per le 92 economie a basso e medio reddito. L’obiettivo è garantire la disponibilità di 1 miliardo di dosi entro il 2021, con un impegno previsto di 7 miliardi di dollari. Nonostante al programma abbiano aderito quasi tutti i Paesi più ricchi (con la sola, rilevante eccezione degli Stati Uniti) finora sono stati raccolti solo 2 dei 7 miliardi di dollari necessari, anche se gli organizzatori avevano fissato appunto in due miliardi l’obiettivo minimo da raggiungere quest’anno, riservando al 2021 il reperimento delle risorse economiche mancanti.

Al circolo vizioso va aggiunto che la ricerca e lo sviluppo del vaccino sono ampiamente sovvenzionati con i soldi pubblici sia di ogni singolo Stato sia attraverso organismi sovranazionali (Unione Europea) e internazionali, tuttavia questi stessi Stati stanno acquistando dosi di vaccini potenzialmente validi su cui si è investito in ricerca, come fosse una "tassa di prelazione". Poco è inoltre stato fatto per sospendere le normative brevettuali per i vaccini, cosa possibile attivando le cosiddette "licenze obbligatorie", ovvero lo strumento attraverso cui l’Organizzazione Mondiale del Commercio permette, tale sospensione, in condizioni di emergenza sanitaria e dietro il pagamento di una royalty. Inoltre, il vaccino più pronto, avendo già richiesto l'autorizzazione alla Food and Drugs Administration e prossimo a farlo anche all'Agenzia europea per i medicinali, sviluppato da Pfizer, ha caratteristiche che renderanno difficile la somministrazione nei Paesi con sistemi sanitari meno efficienti: le fiale, dovendo essere conservate a una temperatura di -80°C, verosimilmente potranno essere conservate e distribuite solo nelle maggiori città dei Paesi industrializzati.

La pandemia ha certamente accelerato lo sviluppo della ricerca scientifica nella produzione vaccinale, e sicuramente anche in altri che vi sono collegati. Il lato negativo però è che buona parte dei vaccini sono in preparazione presso industrie private, che nonostante prendano fondi pubblici hanno come scopo principale il guadagno, non la salute pubblica.

Occorre trovare il modo di andare oltre i difetti inerenti all'economia di mercato e l'egoismo degli Stati per arrivare a una distribuzione più egualitaria del vaccino, o non ne usciremo mai.

Pavlo Conchar / SOPA Images / LightRocket via Getty Images

L'Apartheid del Vaccino

Poiché una pandemia può essere superata solo quando viene superata ovunque, abbracciare un approccio "ogni paese per sé” sembrerebbe irrazionale. Eppure, come indica l'indecorosa competizione per le dosi di vaccino, questo è esattamente ciò che molti Paesi hanno fatto.

di Jayati Ghosh, 16 novembre 2020 - Project Syndicate


NEW DELHI - L'azienda farmaceutica americana Pfizer e la tedesca BioNTech hanno annunciato che il vaccino COVID-19 che stanno sviluppando insieme è stato più del 90% efficace nei primi studi clinici. La notizia ha suscitato la speranza in tutto il mondo che la vita possa presto tornare alla normalità pre-pandemica.

Queste speranze potrebbero non durare a lungo. L'annuncio ha anche fatto sì che i governi si affannassero a rivendicare le dosi di vaccino, realizzando apparentemente una triste previsione: i paesi e gli individui ricchi monopolizzeranno le prime dosi di qualsiasi vaccino efficace.

La COVID-19 Vaccine Global Access Facility - COVAX - (strumento per l'accesso globale al vaccino COVID-19) - guidata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Coalizione per le innovazioni nella preparazione alle epidemie e da Gavi, l'Alleanza per i vaccini- è stata istituita proprio per prevenire questo risultato. La COVAX Facility mira ad accelerare lo sviluppo del vaccino COVID-19, a garantire dosi sicure per tutti i paesi e a distribuire tali dosi in modo equo, a partire dai gruppi a più alto rischio. In altre parole, la struttura è stata creata in parte per prevenire l'accaparramento da parte dei governi dei Paesi ricchi.

Finora, più di 180 Paesi, che rappresentano quasi i due terzi della popolazione mondiale, vi hanno aderito. Tra questi vi sono 94 Paesi a reddito più elevato, che hanno tutti assunto impegni giuridicamente vincolanti. Tutti avranno accesso ai vaccini della lista COVAX e pagheranno le loro dosi individualmente. I 92 Paesi a basso reddito che hanno aderito alla struttura riceveranno le loro dosi gratuitamente.

Il piano COVAX prevede la distribuzione del vaccino in due fasi. Nella prima fase, tutti i Paesi partecipanti riceveranno le dosi proporzionate alle loro popolazioni. Si comincerebbe con un numero sufficiente di vaccini per immunizzare il 3% della popolazione a più alto rischio, in particolare i lavoratori in prima linea nel settore sanitario e sociale. Successivamente verranno somministrate dosi aggiuntive, fino a quando l'immunizzazione non coprirà il 20% della popolazione di ogni paese - a cominciare da quelli più a rischio di COVID-19, come gli anziani e quelli con co-morbilità.

Nella seconda fase, i vaccini verrebbero somministrati a Paesi specifici in base alla velocità con cui il virus si diffonderà; alla diffusione anche di altri agenti patogeni (come il morbillo) e a quanto le infrastrutture sanitarie del Paese saranno prossime a essere sopraffatte. Dati i vincoli sul lavoro - il vaccino BioNTech-Pfizer, per esempio, deve essere somministrato in due dosi a tre settimane di distanza l'una dall'altra, e solo 1,35 miliardi di dosi, al massimo, saranno prodotte entro la fine del prossimo anno - è difficile immaginare un sistema più equo.

Eppure ci sono grandi ostacoli all'implementazione del sistema. Innanzitutto, mentre la Cina ha finalmente aderito al COVAX all'inizio di ottobre, gli Stati Uniti non l'hanno fatto.

Naturalmente, dato il suo approccio "America First", il presidente americano Donald Trump non ha sorpreso nessuno rifiutandosi di aderire. C'è comunque motivo di sperare che il Presidente eletto Joe Biden sia più ricettivo. Dopo tutto, Biden ha in programma di rientrare in molti accordi internazionali da cui Trump si è ritirato, e ha già istituito una task force COVID-19. Seth Berkley, il capo di Gavi, la Vaccine Alliance, è pronto a tenere colloqui con il team di Biden.

Nel frattempo, la Cina ha lavorato in modo aggressivo e ampiamente indipendente per sviluppare e testare il proprio vaccino. Almeno quattro candidati sono attualmente in fase di sperimentazione di Fase 3. Anche se nessuno di essi è ancora stato provato, i funzionari cinesi hanno cercato di inoculare decine di migliaia di persone - forse molte di più - al di fuori del tradizionale processo di sperimentazione.

Ma c'è un altro problema: i partecipanti al COVAX sono ancora in competizione per ottenere accordi bilaterali con le aziende farmaceutiche, poiché non esiste una regola che lo vieti. Il Regno Unito, per esempio, ha prenotato 40 milioni di dosi del vaccino BioNTech-Pfizer. Anche diversi altri governi europei hanno piazzato ordini, o stanno negoziando accordi.

Inoltre, l'Unione Europea ha concluso un accordo per un massimo di 300 milioni di dosi. Gli Stati Uniti, con una popolazione di 328 milioni di abitanti, hanno ordinato 100 milioni di dosi, con i diritti di acquistarne altre 500 milioni - un obiettivo talmente alto da far pensare a un tentativo di conquistare il mercato. Anche il Brasile - un altro partecipante al COVAX - è in trattative con Pfizer, come molti altri.

A pochi giorni dall'annuncio, Pfizer ha venduto più dell'80% delle dosi di vaccino che sarà in grado di produrre entro la fine del prossimo anno ai governi che rappresentano solo il 14% della popolazione globale. In altre parole, se questo sarà il primo vaccino sicuro ed efficace ad arrivare sul mercato, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non avrà quasi alcun accesso a esso.

Si parla anche di molti altri candidati al vaccino - attualmente ce ne sono oltre 200, di cui circa 50 in fase di sperimentazione clinica. I governi dei Paesi ricchi hanno già concluso accordi per l'accesso privilegiato ai vaccini sviluppati da Moderna (che ha anche riportato risultati promettenti dai test clinici), Johnson & Johnson, e AstraZeneca, tra gli altri, se questi candidati riusciranno a superare il processo di approvazione. Ovviamente, i Paesi a basso reddito non hanno questa possibilità.

Poiché una pandemia può essere superata solo quando viene superata ovunque, abbracciare un approccio "ogni paese per sé" sembrerebbe irrazionale. Eppure, come indica l'indecorosa competizione per le dosi di vaccino, questo è esattamente ciò che molti Paesi hanno fatto. Se non cambiamo rotta, l'apartheid sanitario globale diventerà sempre più radicata e porterà la disuguaglianza a nuovi livelli. E la pandemia sarà ancora con noi. Avremo semplicemente aggiunto nuovi problemi a quelli che non abbiamo risolto.

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Jayati Ghosh è Segretaria Esecutiva di International Development Economics Associates (IDEAs), una rete di economisti progressisti di tutto il mondo impegnati in analisi critiche delle politiche economiche e per lo sviluppo. È membro della I ndependent Commission for the Reform of International Corporate Taxation (ICRICT), gruppo che intende promuovere un nuovo sistema di tassazione per le multinazionali.

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