Il Servizio Sanitario Nazionale: una struttura pandemica
(riceviamo e volentieri pubblichiamo: una versione ridotta di questo articolo è comparsa sul numero 3/4 della rivista “Luoghi Comuni” dedicato al Sud, l’articolo è stato inoltre pubblicato dal Centro per la Riforma dello Stato nella sezione Studi e Ricerche)
I problemi del Servizio Sanitario Nazionale non sono riducibili né alle differenze tra Regioni né alla ‘decentralizzazione’. Emergono invece problemi sistemici: manca una combinazione efficace di modelli di
coordinamento moderni e di un uso sensato delle tecnologie. Questi problemi ora devono essere affrontati.
L’SSN ed il fallimento dei “piani di rientro”
Il Servizio Sanitario Nazionale italiano è universale solo in parte, le differenze tra Regioni sono rilevanti e i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, risultano pienamente raggiunti solo da 8 Regioni e Province Autonome su 21 [1] e con ben 5 di esse in grave ritardo.
Questa situazione, di fatto strutturale da anni, emerge dai “piani di rientro” regionali [2] avviati dal 2005 per correggere la crisi finanziaria e dei servizi offerti di numerosi Sistemi Sanitari Regionali. I piani di rientro richiesti dallo Stato hanno avuto come effetto pratico l’ulteriore contrazione nelle prestazioni e il sostanziale definanziamento del sistema, senza evidentemente riuscire a correggere i problemi sia economici che nei servizi.
D’altro lato, bisogna domandarsi come sia possibile che numerose Regioni siano potute andare in default senza che il sistema Paese fosse in
grado di rendersene conto per tempo. Una risposta è evidente ancora oggi
osservando il ritardo con il quale giungono e sono elaborati i flussi di
dati di governo del sistema raccolti tramite il “Nuovo Sistema Informativo
Sanitario” (NSIS) [3] creato
a partire dal 2001: il Ministero della Salute ha potuto pubblicare nel
2019 i dati sul raggiungimento dei LEA del 2017 [4],
accumulando quindi ben 2 anni di ritardo.
La pandemia
In questo contesto ci ha colpito la prima pandemia globale, tuttora in corso, che se, da un lato, ha mostrato l’importanza di avere un sistema sanitario pubblico universale, dall’altro, ha evidenziato nuove debolezze che vanno oltre quelle tradizionali di un Nord avanzato e di un Sud arretrato e disorganizzato.
Non si può negare che ci siano grandi differenze tra regioni del Nord e regioni del Sud e in diversi casi siano molto profonde. Tuttavia, proprio la pandemia ci costringe a spostare l’attenzione e renderci conto che i problemi non sono imputabili alle inadeguatezze locali ma piuttosto sono il risultato di fallimenti sistemici, sia a livello centrale che periferico, che amplificano le differenze e i disservizi in modo apparentemente controintuitivo.
Un caso eclatante, ma non solitario, ad esempio è quello di una Regione avanzata come la Lombardia, che ha abbandonato progressivamente la medicina territoriale a vantaggio degli ospedali/azienda mentre altre regioni, come il Veneto e l’Emilia-Romagna, hanno mantenuto una struttura di medicina territoriale funzionante. La conseguenza pratica è stata che differenti regioni, ma tutte con un buon sistema sanitario, hanno risposto in modo molto diverso all’ emergenza pandemica. La Lombardia, sebbene ritenuta la più “moderna”, ha sofferto più di altre l’impatto della pandemia reagendo in modo meno efficace.
Ancora più evidente è che i parametri di controllo introdotti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che come sappiamo dovrebbero avere come scopo quello di misurare la qualità e l’appropriatezza dell’assistenza sanitaria nel paese, hanno fallito l’obiettivo al punto che nessuno si era accorto che, né il Ministero della Salute, né le Regioni, aggiornavano i piani pandemici, sostanzialmente fermi all’influenza aviaria di dieci anni fa e comunque non operativi, concorrendo nei fatti al disastro iniziale della risposta italiana alla pandemia.
Il problema quindi, paradossalmente, non risiede tanto nel livello locale quanto nell’assenza di coordinamento, che da un lato non fa crescere le regioni più deboli (non solo nel Sud) e dall’altro, lascia sviluppare in modo incoerente e fragile le Regioni “avanzate” del Nord.
La pandemia ci spinge a leggere il funzionamento del sistema sanitario NON come un problema Nord-Sud, quindi una semplice riedizione della “questione meridionale”, ma come un problema sistemico.
Può apparire sorprendente ma mentre l’attenzione, con i “piani di rientro”, era puntata principalmente sul ritardo delle Regioni del Sud, non ci si rendeva conto che era il sistema nel suo complesso a non funzionare in modo efficace e l’arretratezza di alcune regioni è in larga parte un riflesso di questo fallimento.
Va sottolineato che un sistema sanitario che in 15 anni non riesce ad uscire completamente dai suoi malfunzionamenti in ben 11 regioni su ventuno, due delle quali tuttora commissariate dal governo centrale, e dove, ancora oggi, i dati di monitoraggio sono pubblicati con due anni di ritardo, è un sistema malato. Ha retto la pandemia per la capacità degli operatori sanitari e per la sua natura ancora universale e pubblica, ma non grazie alla sua efficacia come sistema.
I problemi non riguardano il livello locale ma il sistema stesso nel suo
complesso.
Tecnologia, centralizzazione e decentramento
A questo punto è necessario comprendere alcuni aspetti caratteristici di ogni Sistema Sanitario Nazionale. Il rischio che dobbiamo evitare è di approcciare la discussione barricandoci dietro la tradizionale tensione ideologica tra centralizzazione e decentramento o, peggio, riducendo banalmente il tutto a un problema di innovazione tecnologica e di disponibilità di dati decentemente aggiornati.
Qualsiasi modello organizzativo formale si intenda discutere, va compreso che la sanità è un sistema intrinsecamente distribuito.
Ogni sistema sanitario è realizzato da un insieme di organizzazioni locali distribuite sul territorio come Ospedali, ambulatori, laboratori di analisi, Medici di Medicina Generale, Pediatri, Case della Salute, Unità di Cure Primarie, RSA ed altre.
Ognuna di queste organizzazioni oggi utilizza numerosi sistemi informatici [6]. Il risultato è un insieme di tecnologie, persone e processi. Questi insiemi di tecnologie e persone sono inoltre diversi tra loro. Come osserva Doug Fridsma, un ospedale in un’area di provincia avrà capacità diverse (e requisiti molto diversi) rispetto ad un grande ospedale urbano universitario.
Medici, perso[nale sanitario e cittadini interagiscono con milioni di righe di codice e nella sanità forse più che in altri settori le persone non sono semplicemente utenti di tecnologie ma sono parte di un sistema di sistemi complesso: un Ultra-Large Scale system (ULS system) [7].
«A una tale scala molte ipotesi devono cambiare: non ci può essere controllo centralizzato; nessuno può mai conoscere tutti i requisiti; i requisiti saranno inevitabilmente in conflitto; il sistema sarà sempre simultaneamente in esercizio e in costruzione; la distinzione tra sistema e utente non ha più senso: le persone fanno parte del sistema; il guasto localizzato è comune e non sistematicamente dannoso, tuttavia ci sono punti critici di vulnerabilità e rischi sistemici che devono essere trattati con la massima cura; i sistemi ULS saranno inevitabilmente costruiti sopra, o accanto, sistemi informatici e istituzioni già complesse ereditate dal passato; gli approcci tradizionali alla progettazione e all'acquisizione non funzionano più».[8]
Questo livello di complessità richiede modalità di governo e coordinamento che hanno poco a che fare con centralizzazione e decentramento in termini tradizionali e ancor meno con l’idea che una nuova organizzazione o un’applicazione informatica alla moda siano una soluzione.
Se non comprendiamo la natura del sistema sanitario e proseguiamo con un approccio che tiene separate organizzazione, persone e tecnologia, come stiamo facendo da anni, qualunque azione intrapresa, per quanto economicamente imponente, sarà irrilevante.
La storia del Fascicolo Sanitario Elettronico è paradigmatica, sia per
gli obiettivi che per come il progetto si è evoluto storicamente.
Sistema sanitario e Fascicolo Sanitario Elettronico
Si comincia a parlare di FSE nel 2006 [9] con la Strategia Architetturale del Tavolo di Lavoro permanente delle Regioni e delle Province Autonome per la Sanità elettronica (TSE) [10] e con il finanziamento di diversi progetti pilota di Fascicoli Sanitari Elettronici nelle Regioni del Sud [11]. In parallelo, altre regioni decidono indipendentemente lo sviluppo di infrastrutture regionali [12] a tal fine. Nel 2012, dopo alcuni anni di rallentamento, il panorama cambia in modo significativo: una legge nazionale istituisce Fascicoli Sanitari Elettronici interoperabili regionali [13]. Una serie di atti e regolamenti successivi hanno dato una nuova spinta alla realizzazione di un FSE a livello nazionale. Anche se una governance coordinata non viene definita [14], vengono comunque lanciate una nuova serie di attività. Si inizia un lavoro di definizione dei documenti sanitari basati su standard informatici e viene sperimentata una rete nazionale per lo scambio dei documenti. Viene realizzato un modello funzionale [15] che avrebbe dovuto guidare la realizzazione progressiva del fascicolo. Lo sforzo compiuto dai diversi attori in questi anni ha in effetti portato ad alcuni risultati significativi, eppure la mancanza di visione, l’assenza di coordinamento chiaro e di un effettivo commitment dei diversi governi che si sono succeduti vanificano molti degli sforzi fatti.
Figura 2 - Attuazione dell'FSE (Fonte: AgID)
Attualmente 19 regioni hanno un Fascicolo attivato. Tuttavia, il numero
di fascicoli complessivo si ferma a circa 18 milioni di cittadini (su 60
milioni di abitanti). Se ci fermiamo ad osservarne le modalità del suo
utilizzo da parte di utenti, medici e aziende sanitarie, i dati appaiono
incoerenti [16]. In
diverse regioni ci può essere, per esempio, un elevatissimo accesso
teorico da parte dei cittadini e un bassissimo accesso da parte dei medici
e/o delle aziende sanitarie.
Soprattutto manca, rispetto al modello funzionale sviluppato nel 2012, l’inclusione di processi e servizi.
Il fascicolo non dovrebbe essere solo un sostituto dell’insieme di documenti e referti cartacei portato a mano dal paziente o banalmente un modo per trasferire un referto tra operatori sanitari: queste funzioni sono oramai non sufficienti e per certi versi anche superate.
Bisogna passare da un modello documentale a uno orientato ai dati e comprendere che il fascicolo non è un semplice insieme di repository documentali ma un sistema di interscambio di dati tra persone. Questo sistema deve produrre anche larga parte dei dati necessari al governo del sistema stesso. Il punto centrale tuttavia non è tecnologico ma nell’accoppiamento tra persone, operatori sanitari e uso sensato della tecnologia [17].
È significativo in questo senso leggere lo stesso testo del DL Rilancio [18] che include un intero articolo dedicato al Fascicolo Sanitario Elettronico. Tuttavia le disposizioni, anche se migliorative per alcuni aspetti, non toccano il problema del coordinamento, non modificano l’approccio centrato sui documenti e, soprattutto, non hanno alcuna relazione con la pandemia.
Si assiste al paradosso di Misure urgenti in materia di Fascicolo sanitario elettronico che, pur positive, non hanno relazioni concrete con l’emergenza. La stessa circolare del MdS “Elementi di preparazione e risposta a COVID-19 nella stagione autunno-invernale” [19] cita l’uso della tecnologia in modo marginale, limitandosi a invitare le Regioni a potenziare i “… sistemi informativi in base ai potenziali incrementi conseguenti ai picchi di richiesta emergenziale” e a richiedere di inviare in modo tempestivo i normali flussi informativi di carattere amministrativo, comportamenti che non impattano minimamente sulla risposta all’emergenza in corso.
A differenza di altri Paesi nessun sforzo viene fatto per consentire un fluido ed efficace scambio di informazioni. È sempre più evidente che non si tratta di una questione Nord/Sud ma di un malfunzionamento globale del sistema.
Basti pensare che l’ISS ha ricevuto le cartelle cliniche dei deceduti positivi al Covid-19 nei formati più vari (anche cartacei), dall’altra parte, i soli dati strutturati disponibili sui ricoveri, provenienti dai flussi per i Livelli Essenziali di Assistenza, oltre che non tempestivi, sono essenzialmente a carattere amministrativo e spesso slegati, nella pratica, dalle cartelle cliniche ospedaliere e di conseguenza inutilizzabili.
Beninteso, è inevitabile che in una situazione emergenziale si operi in
modo empirico [20];
non è inevitabile invece continuare a rifiutare la realtà di un sistema
sanitario basato su tecnologie e continuare a ignorarle nel suo
funzionamento.
Problemi cognitivi
«In primo luogo, dobbiamo renderci conto che nel complesso mondo di un Ultra-Large Scale System, non possiamo costruire sistemi senza considerare le persone che interagiranno con quei sistemi» [21].
La nuova scala dei problemi attuali, che il Coronavirus ha elevato, mostra con chiarezza che la possibilità di rispondere alle crisi sanitarie dipende dalla disponibilità di un sistema sanitario pubblico, ma è necessario che esso accetti e sviluppi il presupposto secondo il quale il modo in cui lo abbiamo progettato e gestito fino ad oggi non è più adeguato. Solo il combinato disposto di queste due realtà potrà nell’immediato attenuare gli effetti della pandemia e in futuro restituire ai cittadini una assistenza sanitaria efficace ed umana.
In questo panorama le tradizionali diatribe Nord vs Sud o ideologiche, centralizzazione vs decentramento, non sono più coerenti con la realtà.
Come osservava Glanville «Il controllo del controllo è il sistema» [22] come esseri umani il nostro scopo è la continua progettazione di questo controllo.
Note:
[1] Nel 2019 sono stati pubblicati dati relativi al 2017. Una revisione della metodologia è in corso, tuttavia è evidentemente insano avere dati di governo del sistema con un ritardo di 2 anni, per di più non del tutto completi. Vedi: MdS, Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA. Metodologia e Risultati dell’anno 2017, Febbraio 2019, http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2832_allegato.pdf.
[2] «I Piani di
rientro nascono con la Legge finanziaria del 2005 (Legge 311/2004) e sono
parte integrante degli accordi stipulati dal Ministero della salute e dal
Ministero dell’economia e delle finanze con le singole Regioni. I Piani
devono contenere sia le misure volte a garantire l’erogazione dei Livelli
essenziali di assistenza (LEA) in conformità con la programmazione
nazionale e con il DPCM 12/01/2017 di fissazione dei LEA, sia le misure
per garantire l’equilibrio di bilancio sanitario. In caso di mancato
raggiungimento degli obiettivi, i Piani di rientro proseguono secondo
programmi operativi, di durata triennale.
La Legge Finanziaria 2005 e l’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 hanno
previsto il ricorso a forme di affiancamento da parte del Governo centrale
alle Regioni che hanno sottoscritto gli accordi contenenti i Piani di
Rientro. Tale attività di affiancamento è stata resa operativa dalla Legge
Finanziaria 2007, che ha previsto che l’accordo siglato dalle Regioni
fosse assicurato dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, nell’ambito del Sistema nazionale di
verifica e controllo sull'assistenza sanitaria (SiVeAS).» (http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_2.jsp?lingua=italiano&id=145).
[3] NSIS. Vedi: https://bit.ly/2HO0cC1.
[4] E solo per la prima volta i dati includono tutte le Regioni.
[5] MdS, Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA. Metodologia e Risultati dell’anno 2017, cit.
[6] Doug Fridsma,
«Health IT as an Ultra Large-Scale System», Health IT Buzz,
February 21, 2013.
(https://www.healthit.govbuzz-blog/electronic-health-and-medical-records/healthcare-building-interoperable-health-system-tough).
[7] Peter H. Feiler, Kevin Sullivan, Kurt C. Wallnau, Richard P. Gabriel, John B. Goodenough, Richard C. Linger, Thomas A. Longstaff, Rick Kazman, Mark H. Klein, Linda M. Northrop, Douglas Schmidt, Ultra-Large-Scale Systems: The Software Challenge of the Future, SEI- Carnegie Mellon University, 2006 (https://resources.sei.cmu.edu/library/sset-view.cfm?assetid=30519).
[8] Kevin Sullivan - William Knaus - Richard Marks, An Ultra-Large-Scale Systems Approach to National-Scale Health Information Systems, Proceedings of Conference SIGSOFT/FSE'10 18th ACM SIGSOFT Symposium on the Foundations of Software Engineering (FSE-18), Santa Fe, NM, USA, November 07 - 11, 2010 (https://dl.acm.org/doi/10.1145/1882362.1882436).
[9] Quasi coincidente con l’inizio dei piani di rientro del 2005.
[10] TSE, Strategia architetturale per la Sanità Elettronica, 31 Marzo 2006 (https://docplayer.it/4111101-Tse-gdlt-ibse-strategia-architetturale-per-la-sanita-elettronica.html).
[11] I cosiddetti progetti Rete MMG.
[12] Tra il più noti il SISS della Regione Lombardia ed il Progetto SOLE in Emilia-Romagna.
[13] Articolo 12, Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012 (https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2013-06-21;69!vig=).
[14] Le competenze coinvolgono in modi diversi: Ministero della Salute, AgID, e Ministero dell’Economia.
[15] Allo sforzo parteciparono 19 Amministrazioni regionali e Province Autonome, 15 Agenzie Regionali, 3 Enti pubblici ed agenzie nazionali (INVITALIA, CISIS e CNR-ICAR) ed HL7 Italia (lo standard è un profilo italiano dello standard HL7-ISO EHR-S FM R2) .
[16] Vedi: https://www.fascicolosanitario.gov.it/. In diverse regioni ci può essere, per esempio, un elevatissimo accesso da parte di cittadini e un bassissimo accesso da parte dei medici e/o delle aziende sanitarie.
[17] Non parliamo volutamente delle tecnologie avanzate come IA che potrebbero essere applicate, dove utile, in presenza di un sistema sensato.
[18] DL del 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla Legge del 17 luglio 2020, n. 77 recante: «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19».
[19] Emessa l’11 agosto dal MdS e predisposta dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute e il Coordinamento delle Regioni e Province Autonome.
[20] Va ricordata l’assenza di veri piani pandemici.
[21] Doug Fridsma, «Health IT as an Ultra Large-Scale System», cit.
[22] Ranulph Glanville, «The Form of Cybernetics: Whitening the Black Box» in Miller, J.(ed), Proceedings of 24 Society for General Systems Research/American Association for the Advancement of Science Meeting, Houston, 1979, Society for General Systems Research, Louisville, 1979.