Lo zar, il sultano… e il Nagorno Karabakh

Le potenze occidentali sono state messe in disparte, mentre Russia e Turchia usano la loro influenza sui contendenti locali per accrescere
il proprio potere sulla regione


Negli ultimi tempi Turchia e Russia sono diventati i principali attori sullo scenario mediorientale, anche grazie agli Stati Uniti che, con l’amministrazione Trump, hanno dismesso l’abituale ruolo di “gendarme della democrazia” in ogni angolo del globo (con l’ovvia eccezione del proprio "cortile di casa", il centro e sudamerica) e al debole balbettio dell’Unione Europea in politica estera. Dopo essersi confrontati e accordati in Siria, recentemente si sono nuovamente trovati, schierati su due fronti opposti, nella guerra azero-armena per il controllo del Nagorno Karabakh.

Nell’area del Caucaso le guerre sono di casa da trent’anni, a seguito della dissoluzione dell’Unione sovietica; basti pensare all’Ossezia del sud, all’Abcasia, alla Cecenia (e al di là del Caucaso, dall’altra parte del Mar Nero, alla Transnistria e alla Crimea) e – appunto – al Nagorno Karabakh, exclave armena in territorio azero, conquistata dall’Armenia nel 1994 dopo una sanguinosa guerra. Tutti conflitti la cui eco, con forse la sola eccezione della Crimea, ha raramente raggiunto l’opinione pubblica occidentale.

A ben guardare, Russia e Turchia sono anche all’origine delle tante tensioni etniche nell’area. Cento anni fa la dissoluzione dell’Impero russo, a seguito della Rivoluzione d’ottobre del 1917, e quella dell’Impero ottomano, seguita alla sconfitta nella prima guerra mondiale e alla spartizione dei suoi territori attuata dalla Conferenza di Parigi del 1919 che portò al Trattato di Versailles, resero evidenti la difficile convivenza di diverse etnie nel medesimo territorio, con tensioni fino ad allora sopite dal controllo autoritario dei due Imperi.

All’indomani della rivoluzione russa, Armenia, Georgia e Azerbaigian si resero indipendenti unendosi nella Federazione Transcaucasica, ma il territorio del Nagorno, quasi esclusivamente abitato da armeni sebbene in territorio azero, rimase disputato fra Armenia e Azerbaigian. Il trattato di Versailles (con la sua appendice dedicata alla Turchia, il Trattato di Sèvres), che pose ufficialmente fine alla prima guerra mondiale, sembrò dare ragione a quest’ultimo, assegnando un governatore azero alla provincia autonoma del Nagorno Karabakh, ma appena un anno dopo la Russia invase e annetté alla nascente Unione Sovietica tutto il territorio transcaucasico, rimescolando nuovamente le carte.

Inizialmente inserì nella neonata Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia sia l’oblast autonomo del Nagorno che quello del Nakhchivan, abitato da azeri in territorio armeno. Ma, dopo appena un anno, a seguito di un tentativo di avvicinamento diplomatico con la vicina Turchia (con l’ennesimo Trattato, firmato a Mosca fra le nascenti Repubblica turca e URSS), assegnò le due regioni autonome all’Azerbaigian, situazione che è rimasta invariata fino al 1994.

Come già ricordato, già ai primi segnali della dissoluzione dell’URSS, le rivendicazioni territoriali ripresero forza e sfociarono, a partire dal 1988, in scontri e pogrom contro la minoranza armena in territorio azero e, infine, in una vera e propria guerra conclusasi nel 1994, quando l’Armenia si impossessò dell’intero Nagorno Karabakh e anche del territorio azero, peraltro abitato prevalentemente da curdi, che fino ad allora aveva separato la regione dallo Stato armeno. Ventisei anni dopo, grazie al sostegno militare determinante turco – con Erdoğan sempre più proteso a imporsi come il leader indiscusso del mondo musulmano e come l’unica presenza della NATO (e dell’Occidente) nell'area mediorientale – l’Azerbaigian ha invaso il Nagorno Karabakh, giungendo a minacciare il suo stesso capoluogo, Stepanakert. La Russia – che, fino ad allora, si era dichiarata neutrale, pur sostenendo le ragioni armene – è intervenuta prontamente quando ormai la disfatta del modesto esercito armeno era imminente e ha imposto un piano di pace che soddisfa gli azeri, ma non umilia gli armeni. Inoltre garantisce una presenza militare russa presentata come “provvisoria” e dettata dalla necessità di aprire un corridoio fra Stepanakert e la repubblica armena, ma tutti sanno come la presenza delle “truppe di pace” come forza di interposizione fra due belligeranti sia solita diventare permanente.

Il confronto fra Russia e Turchia ricorda l’Entente cordiale fra Gran Bretagna e Francia all’inizio del secolo scorso: rimangono ufficialmente avversari, ma sono sostanzialmente alleati nel riconoscersi reciprocamente le proprie sfere d’influenza post-coloniale.

Difficilmente la politica estera della nuova amministrazione Biden o un eventuale (quanto improbabile) rafforzamento dell’azione diplomatica dell’Unione europea potranno scalfire in futuro il protagonismo dello zar Vladimir Putin e del sultano Recep Tayyip Erdoğan.

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Un carro armato delle truppe di pace russe nel Nagorno-Karabakh. Fotografia: Francesco Brembati/Reuters

L'accordo di pace nel Nagorno-Karabakh rimodella la geopolitica regionale

Le potenze occidentali sono state messe in disparte, mentre Russia e Turchia usano la loro influenza sui giocatori locali per accrescere il proprio potere sulla regione.

Andrew Roth a Mosca e Michael Safi a Beirut, 10 novembre 2020 – The Guardian


L'accordo di cessate il fuoco, negoziato dai russi nel Nagorno-Karabakh, hanno detto gli analisti, darà modo sia a Mosca che ad Ankara di esercitare la propria influenza sul Caucaso meridionale, avendo ridefinito le condizioni di sicurezza tra Armenia e Azerbaigian con la rilevante assenza dell'Occidente.

Come nei conflitti in Libia e Siria, la Russia e la Turchia si sono ritrovate ancora una volta a sostenere opposte fazioni e hanno usato il loro ascendente sugli attori locali per negoziare accordi di pace che garantiscano la propria influenza nella regione.

“C'è una configurazione geopolitica assolutamente nuova”, ha detto Fyodor Lukyanov, un autorevole esperto politico vicino al Cremlino.

Questa configurazione esclude sia la Francia che gli Stati Uniti, i quali - insieme alla Russia - avevano formato il gruppo di Minsk dell'OSCE e ospitato i colloqui dopo il cessate il fuoco del 1994 che aveva posto fine alla sanguinosa guerra tra Armenia e Azerbaigian.

Ma il Gruppo di Minsk dell'Osce ha avuto poco ruolo nel negoziare la fine della guerra del 2020, dato che gli Stati Uniti erano apparsi distratti sotto il presidente Trump, tanto che non è stato citato nei comunicati iniziali che chiedevano la fine delle ostilità.

Nel frattempo, il sostegno turco all'Azerbaigian ha consentito a quest’ultimo di lanciare un'offensiva di sei settimane fino alla conquista di Shusha, una città d’importanza strategica nel Nagorno-Karabakh, e minacciare la più grande città della regione, Stepanakert, finché la Russia non è intervenuta con le forze di pace.

L'accordo mediato dalla Russia nel Nagorno-Karabakh

Grafica del Guardian. Fonte: ricerca di Levent Tok, ricercatore e giornalista freelance.
I confini e i territori sono una stima basata sulle ultime notizie

“Il gruppo di Minsk fondamentalmente non esiste più”, ha detto Lukyanov, definendo la Turchia “una parte importante dell'equazione”. “La sconfitta militare dell'Armenia significa che lo status quo precedente è impossibile da ripristinare. Ciò significa che il ruolo russo come garante della stabilità è molto richiesto da entrambe le parti”.

Martedì, di prima mattina, il primo contingente dei quasi 2.000 soldati russi della missione di pace è stato schierato lungo il corridoio di Lachin, residuo collegamento tra l'Armenia continentale e Stepanakert, la più grande città del Nagorno-Karabakh. In base all'accordo sottoscritto da Armenia e Azerbaigian, le truppe russe sorveglieranno il corridoio per cinque anni.

Il futuro di Stepanakert appare oscuro, ha detto Laurence Broers, direttore del programma per il Caucaso presso Conciliation Resources, organizzazione che cerca di creare le condizioni per la pace fra parti in conflitto, aggiungendo che “forse l’intento è di renderlo un posto così orribile in cui vivere che la maggior parte della popolazione armena – buona parte della quale se ne è già andata - non tornerà”.

La missione è probabilmente il maggiore intervento della Russia nella regione dalla guerra in Georgia del 2008. La Russia ha evitato per settimane di assumersi il compito di mantenere la pace fino a quando non è diventato chiaro che l'Azerbaigian minacciava di occupare l'intero Nagorno-Karabakh.

“L'idea era di lasciare vincere gli azeri, ma non completamente”, ha detto Lukyanov. Secondo l'accordo, l'Azerbaigian manterrà il controllo dell’area conquistata durante la guerra e riprenderà possesso dei territori al di fuori del Nagorno-Karabakh sotto il controllo armeno.

Già martedì c’erano segnali che entrambe le parti stavano negoziando per stendere l'accordo di pace. Il presidente dell'Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha detto che sia le forze di pace russe che quelle turche sarebbero state dispiegate nel Nagorno-Karabakh, sconcertando molti armeni. La Russia è intervenuta rapidamente, sottolineando però che la Turchia non era un partner ufficiale dell'accordo di pace.

“Non una sola parola viene detta a questo proposito nella dichiarazione pubblicata”, ha detto martedì ai giornalisti Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino. “Le parti non si erano accordate su questo. La presenza di soldati turchi in Karabakh non è stata concordata”.

L'influenza della Turchia sul conflitto è ben documentata, dato che Ankara ha venduto all'Azerbaigian la cruciale tecnologia dei droni e le compagnie militari private turche hanno assoldato milizie ribelli di Idlib per mandarle in Azerbaigian a combattere in prima linea nel conflitto.

E l'apertura di un collegamento terrestre tra l'Azerbaigian e la sua exclave di Nakhchivan è possibile solo attraverso lo stretto confine con la Turchia, rimanendo le due regioni separate dalla parte meridionale del territorio armeno.

Tutti gli occhi saranno ora puntati sulle forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh, che sono la chiave per mantenere un fragile cessate il fuoco.

Broers ha detto che le forze di pace russe potrebbero “sembrare una forza coloniale”.

“Entrare in un'operazione di mantenimento della pace senza un processo politico che possa portare a un accordo di pace significa fondamentalmente restare lì per sempre”, ha detto. “Quella che si è creata ora è una situazione intrinsecamente instabile. Quel contingente di pace sarà vulnerabile alle provocazioni”.

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Nota di Quasi un Blog:

Il conflitto armeno-azero ha radici che affondano nei secoli e, anche limitando l’analisi agli ultimi cento anni, ha conosciuto innumerevoli scontri bellici, armistizi e trattati di pace, pogrom, discriminazioni, deportazioni forzate o migrazioni volontarie fra i due Paesi; questo post volutamente non ha considerato tutti questi avvenimenti, limitando la narrazione alle vicende più rilevanti, perché il focus è il protagonismo di Vladimir Putin e di Recep Tayyip Erdoğan nello scacchiere geopolitico internazionale e, in questo contesto, il Nagorno Karabakh assume solo il ruolo di ultimo scenario della contrapposizione fra i due leader.

Per chi invece fosse interessato a sapere qualcosa di più sulla storia del Nagorno Karabakh e sulle origini dell'odio che divide azeri e armeni si rimanda a due articoli del blogger ed esperto di geopolitica Andrea Gaspardo, uno dedicato al Caos caucasico e uno successivo di risposta a un lettore che aveva contestato il contenuto del primo.

Interessante anche il video realizzato dal fotoreporter e blogger Stefano Tiozzo, che da anni vive a Mosca e conosce bene l’area caucasica, video che - in sette capitoli - fa più analiticamente la storia dei due popoli in conflitto.

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