Le due Americhe
I continenti americani, per la condizione di libertà e indipendenza che hanno assunto e mantengono, non sono d'ora in poi da considerarsi soggetti a future colonizzazioni da parte di alcuna potenza europea
(James Monroe)
Da lungo tempo ormai la dottrina Monroe influenza i destini del continente americano, fornendo le basi ideologiche per le pretese imperialiste degli USA su ciò che considerano il loro “cortile di casa”. I colpi di Stato che hanno funestato l’America latina alla fine del secolo scorso instaurarono feroci dittature che permisero alle multinazionali statunitensi di avere libero accesso alle risorse naturali dei vari Paesi, incaricandosi pure di fungere da avvertimento per chi osasse agire in maniera diversa dagli standard stabiliti dagli USA. Ma sono solo l’elemento più evidente di una strategia di controllo politico ed economico che si continua anche nel nuovo secolo, in maniera ora più subdola ora più palese.
L’ingerenza statunitense è infatti evidente nell’insistente strategia di destabilizzazione del Venezuela portata avanti con attentati, attacchi di mercenari, presidenti autoproclamati e l’imposizione di una taglia sulla testa di Maduro ed embarghi commerciali ai danni del Venezuela, del Nicaragua e della sempiterna Cuba.
Si fa complessa in Brasile, con le vicende giudiziarie che condussero alla destituzione della presidente Dilma Rousseff e all’incarcerazione dell’ex presidente Lula da Silva, esponenti del Partido dos Trabalhadores (PT), nell’ambito della cosiddetta operazione lava-jato che ha portato alla luce un enorme schema di corruzione coinvolgente l’impresa di costruzioni Odebrecht e l'azienda petrolifera Petrobras, con addentellati in quasi tutto il Sud America e in Africa; in particolare, l’incarcerazione di Lula fu decisa nonostante non si fosse raggiunto il terzo grado di giudizio, e nel periodo che i sondaggi lo davano come sicuro vincitore nella corsa alla presidenza. Conversazioni pubblicate da the Intercept del giornalista Glenn Greenwald mostrarono che giudice e pubblico ministero del processo erano coscienti dell’inconsistenza delle prove contro Lula e cercarono di evitare un’intervista all’ex presidente da parte del giornale Folha de São Paulo, nel timore che potesse favorire il nuovo candidato del PT. I magistrati interessati hanno negato la veridicità delle intercettazioni, ma si sono anche rifiutati di aprire le loro chat Telegram al controllo dell’autorità giudiziaria. Solo mesi dopo l’elezione del nuovo presidente Jair Bolsonaro Lula è stato scarcerato, mentre le accuse hanno cominciato a cadere l'una dopo l'altra. Il suo accusatore Sérgio Moro, capo dell’intera operazione lava-jato è nel frattempo divenuto ministro della Giustizia nel governo Bolsonaro.
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Il presidente Jair Bolsonaro e l’ex ministro della Giustizia Sérgio Moro |
Costui, grande sostenitore e alleato di Trump, è stato eletto mediante una campagna che, a detta di molti, ricorda quella trumpiana di due anni prima; caratterizzata da messaggi brevi e di alto contenuto emotivo, ricchi di fake news, si è svolta principalmente attraverso Whatsapp, molto diffuso in Brasile, approfittando del fatto che i piani telefonici più economici proposti dai provider brasiliani davano accesso limitato a Internet ma illimitato alle piattaforme di messaggistica e ai social. In questo modo, chi riceveva i messaggi pro-Bolsonaro e anti-PT su Whatsapp difficilmente accedeva alla rete per controllare e saperne di più, rischiando di consumare, o avendo già consumato, i gigabyte del proprio piano telefonico. L’uso delle nuove tecnologie per l’ottenimento del consenso tramite messaggi brevi e accattivanti, per quanto vuoti di vero contenuto politico, fa probabilmente parte di una strategia ideata dai think tank americani di cui si è fatto portavoce Steve Bannon, l’ex consigliere di Trump fondatore di The Movement, una sorta di internazionale del populismo destrorso che ha esportato anche in Europa, e che ha scelto il figlio di Bolsonaro Eduardo come rappresentante del suo movimento in America Latina. Le folle inneggianti al capitano, la consacrazione del Brasile al cuore immacolato di Maria e l’ossessivo rispondere “e allora il PT?” a qualunque critica verso Bolsonaro e il suo governo fanno parte di una strategia comunicativa che a noi italiani non suona del tutto inedita. In aggiunta ai preparativi sui social media, Bolsonaro si era preparato a contestare un eventuale risultato negativo al ballottaggio facendo ricorso all’accusa di brogli, che ha rinnovato dopo l’esito delle elezioni alla presidenza degli Stati Uniti e si accinge a rinforzare in vista delle elezioni del 2022.
Da tempo nella speciale lista dei Paesi oggetto delle attenzioni USA è anche la Bolivia, sia per le risorse naturali (gas, litio…) che fanno gola alle multinazionali sia per l’ascesa, nel nuovo millennio, del Movimiento Al Socialismo (MAS). Una volta arrivato al potere, ha nazionalizzato le attività estrattive e ne ha destinato i proventi alle politiche sociali, unendosi poi a Venezuela e Cuba nell'Alleanza Bolivariana per le Americhe, alternativa all’Area di Libero Commercio delle Americhe voluta dagli USA.
Poco prima delle elezioni generali in Bolivia di fine ottobre 2019 cominciarono a circolare voci che un’eventuale nuova vittoria del MAS e di Morales sarebbe stata rifiutata con accuse di brogli, cosa poi puntualmente avvenuta: l’aumentato vantaggio di Morales dopo una pausa nel conteggio dei voti, che gli avrebbe permesso di ridiventare Presidente senza ricorrere al ballottaggio, ha dato il via a una serie di proteste violente che hanno indotto Morales a richiedere una verifica dei risultati elettorali da parte di osservatori esterni o addirittura proporre nuove elezioni, fallendo però nell’obiettivo di riportare la pace nel Paese; dopo le dimissioni, è stato addirittura costretto a fuggire per salvarsi la vita, con un aereo mandato appositamente dal presidente messicano Lopez Obrador, riuscendo ad arrivare in Messico dopo un volo tortuoso a causa degli Stati che negavano il permesso al sorvolo del proprio spazio aereo. In seguito, ha continuato il proprio esilio in Argentina, da dove ha proseguito l’attività politica nonostante il disappunto degli Stati Uniti, comunicato mediante l’ambasciata statunitense al presidente Alberto Fernàndez. I disordini sono continuati anche dopo la partenza di Morales e l’autoproclamazione a presidente ad interim della senatrice Jeanine Áñez.
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Jeanine Áñez e Luis Fernando Camacho – foto APG |
Il grande protagonista delle proteste anti-Morales è stato Luis Fernando Camacho, esponente politico di estrema destra del Dipartimento di Santa Cruz. È questa la regione più ricca del Paese, abitata da bianchi, discendenti degli antichi colonizzatori, nelle cui mani è tuttora concentrata la proprietà terriera e in generale le ricchezze del territorio. Razzista, conservatrice, filostatunitense, dedita al fondamentalismo religioso, la regione di Santa Cruz è sempre stata una spina nel fianco dei governi di Evo Morales, fin dal referendum (non ufficiale) del 2008 in cui l’82% degli abitanti si disse favorevole all’indipendenza dalla Bolivia. Camacho, già esponente della Unión Juvenil Cruceñista, organizzazione paramilitare di simpatie fascio-naziste dedita ad azioni violente e violazioni dei diritti umani, nonché ex presidente del potente Comitato Civico pro-Santa Cruz di cui la Unión Juvenil è parte integrante, è stato accusato di aver provocato e organizzato gli attacchi ai manifestanti pro Morales e di aver preso accordi con la polizia e l’esercito affinché non intervenissero a proteggere i manifestanti dalle violenze delle milizie parafasciste.
L’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani fortemente influenzata dagli Stati Uniti, dove ha la sua sede centrale, ha appoggiato la versione golpista sulle elezioni dichiarando che furono commesse irregolarità, contribuendo così alla legittimazione del governo ad interim della Áñez e alla reputazione internazionale di Evo come truffatore e aspirante dittatore. La Áñez ha così avuto via libera nel portare il potere nelle mani delle élite conservatrici fondamentaliste, come è apparso chiaro fin da subito quando si è proclamata presidente esibendo tra le mani una grande Bibbia in opposizione ai culti andini favoriti dall’ex presidente indio, anche se largamente sincretizzati col cattolicesimo.
Tra i provvedimenti attuati dal suo governo l’aumento dei tassi d’interesse bancari e la riduzione dell'aliquota fiscale per le grandi imprese, e il versamento di 600 milioni di dollari prelevati da fondi pubblici per pagare i debiti delle grandi aziende private di Santa Cruz colpite dall’economia di Covid-19 (da notare il conflitto d’interesse del ministro dell’economia e uomo d’affari Branko Marinkovic, uno dei principali beneficiari del provvedimento). Ha inoltre indebitato la Bolivia per 327 milioni di dollari presso il Fondo Monetario Internazionale, come previsto dall’ex presidente, ma ha fallito il tentativo di privatizzare nuovamente la Elfec per l’opposizione dei suoi stessi ministri. Anche il tentativo di escludere il MAS da nuove elezioni, promesse dopo 90 giorni ma in realtà rimandate di un intero anno, non ha avuto successo e l’opposizione socialista, guidata da Morales dall’Argentina, decide di presentarsi con Luis Arce, già ministro nel precedente governo.
Nel frattempo, i supposti brogli nelle elezioni dell’ottobre 2019 sono stati messi in dubbio dalla stessa stampa statunitense, prima dal Washington Post e poi dal New York Times, smentendo così il giudizio dell’OSA e supportando indirettamente le dichiarazioni di Morales che ciò che avvenne fu un colpo di Stato, come anche curiosamente confermato dall’industriale Elon Musk: costruttore di auto elettriche e quindi diretto concorrente delle auto boliviane che il governo Morales, grazie al litio estratto nel Paese, era in procinto di mettere sul mercato poco prima delle elezioni, rispose candidamente a chi, su Twitter, gli diceva che un colpo di Stato per permettergli di ottenere il litio boliviano non era stato nell’interesse del popolo della Bolivia, “noi faremo colpi di Stato a chi ci pare, fattene una ragione”.
Il progetto golpista ha però subito uno stop con le nuove elezioni, avvenute a un anno di distanza dalle precedenti, in cui il candidato del MAS Luis Arce ha ottenuto una vittoria schiacciante. La rinuncia alla candidatura della presidente ad interim per far convergere i voti su Mesa non ha potuto evitare che Arce superasse Mesa di più di 27 punti percentuali, accedendo così direttamente alla presidenza senza bisogno di ballottaggio. La portata della vittoria ha lasciato spiazzati gli avversari, ma ciò non significa che sarà accettata senza problemi: si registra già un attentato dinamitardo ai danni di Arce, fortunatamente senza conseguenze. Il tutto nel più completo silenzio dei “democratici” europei, incapaci di emettere fiato senza l’imbeccata d'oltre Atlantico.
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Festeggiamenti per il ritorno di Evo Morales in Bolivia (Ronaldo Schemidt-AFP-Getty Images) Una manifestante cilena con la mascherina a favore dell’approvazione del referendum (APG) |
Il ritorno al socialismo della Bolivia, così come il sostegno dato a Morales dai presidenti messicano e argentino, è un segno di come il continente stia nuovamente tentando la strada di un’indipendenza dai diktat di Washington; in questa direzione sembra andare anche il Cile, che dopo un anno di ampia partecipazione a manifestazioni di piazza contro il governo di Piñera si è recentemente espresso a larga maggioranza (78%) contro la costituzione di Pinochet e per l’elezione popolare di un’assemblea costituente incaricata di redigere una nuova costituzione.
Resta da vedere come reagiranno gli USA al cambio di tendenza. Posto che Biden riesca ad accedere alla presidenza senza problemi, si è già espresso in favore della “classica” politica USA nei confronti di Cuba, Venezuela e Nicaragua. Ovviamente in nome della democrazia.