Evitiamo il blocco climatico!

 


Il mondo si sta avvicinando a un punto critico del cambiamento climatico, quando la protezione del futuro della civiltà richiederà interventi drastici.

Per evitare questo scenario è necessaria una conversione verde dell’economia


Fin dal mese di marzo, da quando la pandemia ha cominciato a diffondersi in tutto il mondo, l’economista Mariana Mazzucato ha riproposto - su riviste e quotidiani britannici, statunitensi e italiani - la sua ricetta per affrontare le tre crisi (sanitaria, economica e ambientale) che si presentano contemporaneamente in questo momento storico: la cooperazione fra pubblico e privato, dove lo Stato assuma il ruolo di motore e stimolo dell’innovazione tecnologica ed economica. Uno Stato imprenditore può, per l’economista italiana, orientare gli investimenti - sia pubblici che privati - verso obiettivi socialmente produttivi, di lungo periodo e contrastare così la tendenza del mondo imprenditoriale privato a privilegiare la massimizzazione degli utili e a perseguire solo obiettivi di breve periodo.

I media mainstream e il mondo imprenditoriale italiani hanno a lungo ignorato le sue proposte, salvo poi criticarle aspramente quando Mazzucato è diventata consulente economica del presidente del consiglio Giuseppe Conte. Quasi unanimi sono state le accuse di statalismo (o addirittura di sovietizzazione) rivolte al possibile intervento dello Stato nell’economia. L’allora presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, sulle colonne del Corriere della Sera del 4 maggio chiariva che contributo gli imprenditori si attendevano dallo Stato: “faccia il regolatore, stimoli gli investimenti. Per esempio questo sarebbe il momento per rilanciare con più risorse il piano Industria 4.0, visto che a questa crisi sopravviverà chi investirà. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti”. Curiosamente, solo il quotidiano di Confindustria, il Sole 24 ore, che aveva pubblicato il 30 aprile un articolo di Mariana Mazzucato, ha risposto con un commento equilibrato alla proposta dell’intervento di uno Stato imprenditore, giudicandola positivamente, sebbenese si ritenesse “difficile, se non impossibile o controproducente, l’applicazione dell’idea al caso italiano. Ciò in quanto la proposta ha funzionato negli States, con una ‘cultura’ della PA ben diversa, con uno ‘Stato acquirente’ di nuove tecnologie, con appalti pubblici innovativi e finanziamento della ricerca e scienza ‘di base’. In Italia ciò sarebbe impossibile, o quasi: riformare la nostra PA per renderla imprenditoriale richiederebbe una politica forte e stabile, una classe dirigente lungimirante e competente, una capacità di nutrire una vera riforma della PA senza servire interessi corporativi.”

Il 22 settembre scorso, Mariana Mazzucato ha riassunto in un articolo su Project Syndicate tutti i suoi precedenti interventi sul ruolo fondamentale dello Stato imprenditore come motore dinamico dell’innovazione, in quanto in grado di farsi carico del rischio d’investimento iniziale nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie. E lo ha fatto per lanciare un allarme sull’accelerazione del cambiamento climatico che rischia di diventare irreversibile senza l’adozione di contromisure efficaci e per proporre di concentrare - urgentemente e prioritariamente - gli sforzi sulla conversione dell’economia in un’economia verde.

Mazzucato paventa che lo scioglimento dei ghiacci artici, con conseguente innalzamento del livello degli oceani e dispersione di gas serra nell’atmosfera, e gli incendi che hanno devastato l’Australia, la Siberia, il Brasile e stanno devastando vaste aree degli Stati Uniti siano segnali che si stia raggiungendo il “punto critico” dell’emergenza ambientale, superato il quale si dovrebbe ricorrere a non auspicabili interventi drastici. Interventi che si abbatterebbero inevitabilmente sul nostro abituale modo di vivere quotidiano. Occorre quindi, per evitare un simile scenario “rivedere le nostre strutture economiche e interpretare il capitalismo in modo diverso”.

L’intervento di Mazzucato è stato quanto mai tempestivo, se si considera che nello stesso giorno il presidente cinese Xi Jinping all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha annunciato l’impegno del suo Paese a raggiungere il picco delle emissioni di CO2 prima del 2030 e poi a diventare neutrale, in termini di emissioni, entro il 2060. E una settimana prima, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, Ursula von der Leyen aveva affermato, l’articolo di Mazzucato lo cita, che “il Green Deal europeo è il nostro progetto per realizzare questa trasformazione, la transizione verde e digitale”.

Mentre l’impegno della Commissione europea a impegnare nell’economia verde oltre un terzo delle proprie risorse ha trovato ampio risalto sui media italiani, gli stessi media - a eccezione dei siti economici - hanno prestato poco rilievo all’importante annuncio di Xi Jinping e hanno completamente ignorato l’allarme di Mazzucato, forse perché troppo impegnati a commentare l’esito del referendum costituzionale e i risultati delle elezioni regionali.

Il silenzio sull’intervento dell’economista italiana è durato alcuni giorni, finché due quotidiani - Il Giornale e il Tempo - ne hanno dato notizia lo scorso 26 settembre, capovolgendone però il contenuto. L’attacco non era infatti rivolto verso Mazzucato come economista, ma verso il suo ruolo di consulente economica del presidente del consiglio, nell’ambito quindi del quotidiano tentativo dei giornali di destra di abbattere il governo Conte. Titoli come L’ideona dell’esperta di Conte: vuole un ‘lockdown climatico' e “L’ultima di Mariana Mazzucato, l’esperta di Conte vuole il lockdown climatico” si commentano da soli nella loro smaccata faziosità e malafede.

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David McNew - GettyImages


Avoiding a Climate Lockdown

Il mondo si sta avvicinando a un punto critico del cambiamento climatico, quando la protezione del futuro della civiltà richiederà interventi drastici. Per evitare questo scenario sarà necessaria una trasformazione economica verde e quindi una radicale revisione del sistema di direzione aziendale, della finanza, della politica e dei sistemi energetici.

di Mariana Mazzucato, 22 settembre 2020 – Project Syndicate


LONDRA. Con la diffusione di COVID-19 all’inizio di quest’anno, i governi hanno introdotto delle misure di blocco (lockdown) per evitare che un’emergenza sanitaria pubblica andasse fuori controllo. Nel prossimo futuro, il mondo potrebbe dover ricorrere nuovamente alle misure di blocco, questa volta per affrontare un’emergenza climatica.

Lo spostamento dei ghiacci artici, l’infuriare degli incendi negli Stati Uniti occidentali e altrove e le perdite di metano nel Mare del Nord sono tutti segnali di avvertimento che ci stiamo avvicinando a un punto critico del cambiamento climatico, quando la protezione del futuro della civiltà richiederà interventi drammatici.

Con un “blocco del clima”, i governi limiterebbero l’uso dei veicoli privati, proibirebbero il consumo di carne rossa e imporrebbero misure estreme di risparmio energetico, mentre le compagnie di combustibili fossili dovrebbero smettere di trivellare. Per evitare un simile scenario, dobbiamo rivedere le nostre strutture economiche e interpretare il capitalismo in modo diverso.

Molti pensano che la crisi climatica sia distinta dalle crisi sanitarie ed economiche causate dalla pandemia. Ma le tre crisi - e le loro soluzioni - sono interconnesse.

COVID-19 è essa stessa una conseguenza del degrado ambientale: uno studio recente l’ha definita “la malattia dell’Antropocene”. Inoltre, il cambiamento climatico aggraverà i problemi sociali ed economici evidenziati dalla pandemia. Tra questi, vi sono: la diminuita capacità dei governi di affrontare le crisi sanitarie pubbliche, la limitata capacità del settore privato di resistere alle continue perturbazioni economiche e la diffusa disuguaglianza sociale.

Queste carenze riflettono i valori distorti alla base delle nostre priorità. Per esempio, noi chiediamo il massimo ai “lavoratori essenziali” (tra cui infermieri, addetti ai supermercati e autisti delle consegne) pagandoli il meno possibile. Senza un cambiamento fondamentale, il cambiamento climatico peggiorerà tali problemi.

La crisi climatica è anche una crisi di salute pubblica. Il riscaldamento globale causerà il degrado dell’acqua potabile e permetterà alle malattie respiratorie legate all’inquinamento di prosperare. Secondo alcune proiezioni, entro il 2070, tre miliardi e mezzo di persone nel mondo vivranno in un caldo insopportabile.

Per affrontare questa triplice crisi è necessario orientare il sistema di conduzione aziendale, la finanza, la politica e i sistemi energetici verso una trasformazione economica verde. Per raggiungere questo obiettivo, devono essere rimossi tre ostacoli: il business che è guidato dagli azionisti invece che da tutti i soggetti interessati, la finanza che viene utilizzata in modo inadeguato e inappropriato e il governo che si basa su un pensiero economico obsoleto e su ipotesi sbagliate.

La governance aziendale deve ora riflettere le esigenze dei soggetti interessati invece dei capricci degli azionisti. La costruzione di un’economia inclusiva e sostenibile dipende dalla cooperazione produttiva tra il settore pubblico e privato e la società civile. Ciò significa che le aziende devono ascoltare i sindacati e le collettività dei lavoratori, i gruppi della comunità, i difensori dei consumatori e altri ancora.

Allo stesso modo, l’assistenza governativa alle imprese deve essere meno incentrata su sussidi, garanzie e salvataggi e più sulla costruzione di azioni comuni. Questo significa fissare condizioni rigorose per qualsiasi salvataggio aziendale in modo da assicurarsi che il denaro dei contribuenti sia utilizzato in modo produttivo e generi valore pubblico a lungo termine, non profitti privati a breve termine.

Nell’attuale crisi, per esempio, il governo francese ha condizionato i suoi salvataggi per Renault e Air France-KLM agli impegni di riduzione delle emissioni. La Francia, il Belgio, la Danimarca e la Polonia hanno negato gli aiuti di Stato a qualsiasi società domiciliata in un paradiso fiscale riconosciuto dall’Unione Europea e hanno impedito ai grandi beneficiari di pagare dividendi o di riacquistare azioni proprie fino al 2021. Allo stesso modo, alle società statunitensi che ricevono prestiti governativi grazie al Provvedimento sugli aiuti per il coronavirus, il sostegno e la sicurezza economica (Coronavirus Aid, Relief and Economic Security Act, CARES Act) è stato proibito di utilizzare i fondi per il riacquisto di azioni.

Queste condizioni sono un inizio, ma non sono abbastanza ambiziose né dal punto di vista climatico né in termini economici. L’entità dei pacchetti di assistenza governativi non corrisponde alle esigenze delle imprese e le condizioni non sono sempre giuridicamente vincolanti: per esempio, la politica sulle emissioni di Air France si applica solo alle tratte brevi dei voli nazionali.

Ci vuole molto di più per ottenere una ripresa verde e sostenibile. A esempio, i governi potrebbero utilizzare modifiche del sistema fiscale per scoraggiare le imprese dall’utilizzare determinati materiali. Potrebbero anche introdurre la garanzia del lavoro a livello aziendale o nazionale, in modo che il capitale umano non venga sprecato o eroso. Questo aiuterebbe i lavoratori più giovani e più anziani che hanno subito in modo sproporzionato la perdita di posti di lavoro a causa della pandemia e ridurrebbe i probabili shock economici nelle regioni svantaggiate che già sono in declino industriale.

Anche la finanza ha bisogno di essere sistemata. Durante la crisi finanziaria globale del 2008, i governi hanno inondato i mercati di liquidità, ma, poiché non l’hanno indirizzata verso buone opportunità di investimento, gran parte di quei finanziamenti è finita di nuovo in un settore finanziario non adatto allo scopo.

La crisi attuale offre l’opportunità di sfruttare la finanza in modo produttivo per guidare la crescita a lungo termine. Una paziente finanza a lungo termine è fondamentale, perché un ciclo di investimenti di 3-5 anni non corrisponde alla lunga durata di una turbina eolica (più di 25 anni), né incoraggia l’innovazione necessaria nella mobilità elettrica, nello sviluppo del capitale naturale (come i programmi di ricostruzione) e nelle infrastrutture verdi.

Alcuni governi hanno già lanciato iniziative di crescita sostenibile. La Nuova Zelanda ha sviluppato un budget basato su parametri di “benessere”, piuttosto che sul PIL, per allineare la spesa pubblica su obiettivi più ampi, mentre la Scozia ha adottato un nuovo quadro
di riferimento
 per la missione della Scottish National Investment Bank.

Oltre a orientare la finanza verso una transizione verde, dobbiamo responsabilizzare il settore finanziario per il suo impatto ambientale spesso distruttivo. La banca centrale olandese stima che l’impatto ambientale delle istituzioni finanziarie olandesi rappresenti una perdita di oltre cinquantottomila chilometri quadrati di natura incontaminata, cioè un’area quasi una volta e mezzo più grande degli stessi Paesi Bassi.

Poiché i mercati non guideranno da soli una rivoluzione verde, la politica del governo deve orientarli in questa direzione. Ciò richiederà uno stato imprenditoriale che innovi, si assuma dei rischi e investa a fianco del settore privato. I responsabili politici dovrebbero quindi ridisegnare i contratti di appalto per allontanarsi dagli investimenti a basso costo con i fornitori storici e creare meccanismi che “affollano” l’innovazione da parte di più attori per raggiungere gli obiettivi verdi pubblici.

I governi dovrebbero anche adottare un approccio di differenziazione delle spese per l’innovazione e gli investimenti. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, una politica industriale più ampia continua a sostenere la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione. Allo stesso modo, programmi come l’European Green Deal, l’Industrial Strategy e il Just Transition Mechanism, recentemente lanciati dall’UE, fungono da motore e bussola per il Recovery Fund, ora denominato “Next Generation EU”, di 750 miliardi di euro.

Infine, dobbiamo orientare il nostro sistema energetico verso le energie rinnovabili - l’antidoto al cambiamento climatico e la chiave per rendere le nostre economie sicure dal punto di vista energetico. Dobbiamo quindi sfrattare gli interessi legati ai combustibili fossili e la breve durata dal mondo degli affari, della finanza e della politica. Le istituzioni finanziariamente potenti, come le banche e le università, devono dismettere la partecipazione in aziende che si occupino di combustibili fossili. Finché non lo faranno, prevarrà un’economia basata sul carbonio.

La finestra per lanciare una rivoluzione climatica - e per ottenere una ripresa inclusiva da COVID-19 nel processo - si sta rapidamente chiudendo. Dobbiamo muoverci rapidamente se vogliamo trasformare il futuro del lavoro, del trasporto e dell’utilizzo dell’energia e trasformare il concetto di “buona vita verde” in una realtà per le generazioni a venire. In un modo o nell’altro, un cambiamento radicale è inevitabile; il nostro compito è quello di garantire che si realizzi il cambiamento che vogliamo mentre abbiamo ancora la possibilità di scegliere.

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Mariana Mazzucato è un'economista italiana con cittadinanza statunitense. Docente di Economia dell'innovazione e del valore pubblico presso la University College London, è la fondatrice e direttrice dell'Institute for Innovation and Public Purpose (IIPP).
È consulente economica del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e membro del CdA di ENEL. È autrice di best-seller, tradotti anche in italiano, come Lo Stato innovatore (2014), Ripensare il capitalismo (con Michael Jacobs, 2017) e Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell'economia globale (2018).

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