Cosa fare con il debito Covid?
È ricorrendo a prelievi eccezionali sui più abbienti
che si sono estinti i grandi debiti pubblici del dopoguerra e che si è ricostruito il patto sociale e produttivo dei decenni successivi.
In questo suo post, l’economista francese Thomas Piketty affronta, pur senza nominarlo, uno dei tabù degli economisti liberisti, la ristrutturazione del debito pubblico come necessaria conseguenza della sua insostenibilità, essendo enorme l’ammontare del disavanzo degli Stati assorbito dalle banche centrali.
Una volta dato per scontato che sia improbabile che le banche richiedano il rimborso dei titoli di debito pubblico acquistati, Piketty si pone il problema di che utilizzo si farà dell’imponente immissione di liquidità nel mercato, derivante dal mancato rimborso dei crediti. Se il basso costo del denaro servirà ai pochi ricchi per continuare a privilegiare la speculazione finanziaria e a ricavarne ancora più sostanziosi profitti, la conseguenza sarà un ulteriore aumento delle disuguaglianze, tema cui l’economista francese è particolarmente sensibile.
Una più equa distribuzione della ricchezza creata dal denaro emesso dalle banche centrali si potrebbe ottenere, secondo Piketty, se questa liquidità, “invece di alimentare la bolla finanziaria, venisse mobilitata per finanziare una vera ripresa sociale ed ecologica”, cioè servisse a finanziare un grande programma di investimenti per la conversione ambientale e sociale dell’economia. Un programma che consentirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro, una migliore retribuzione dei lavoratori, un aumento di spesa ben indirizzato per la sanità e l’istruzione, per la riqualificazione energetica degli edifici, per il potenziamento dei servizi pubblici.
Anche questa soluzione presenta però, a suo avviso, un limite preciso: l’aumento della liquidità del sistema porterà a un aumento dell’inflazione e, quando quest’ultima supererà una misura accettabile, cioè arriverà al 3-4%, occorrerà aumentare il prelievo fiscale per ripristinare l’equilibrio. In questo Piketty si conferma un post-keynesiano ortodosso; per gli economisti eterodossi, fautori della Modern Monetary Theory (MMT), come Stephanie Kelton o Pavlina R. Tcherneva, l’immissione di liquidità nel sistema non genera necessariamente un eccesso nella domanda di beni e servizi e quindi un aumento dei prezzi (inflazione), perché secondo la MMT il limite alla creazione di denaro sta solo nella capacità del sistema di produrre beni e servizi in grado di soddisfare la domanda. Per i post-keynesiani eterodossi si può ricorrere alla leva fiscale in un secondo momento, come strumento per ridurre le disuguaglianze che comunque si generano nel sistema. Al netto di questa differenza, per Piketty il modo migliore per ridurre le disuguaglianze fra i ricchi (sempre più ricchi) e tutti gli altri (“noi, il 99%”) cui rimane una fetta sempre più esigua della ricchezza è l’introduzione di un’imposta patrimoniale, altro tabù intoccabile dell’economia neoliberista.
Ancora una volta, Piketty non nomina una imposta patrimoniale, ma si limita a prevedere “prelievi eccezionali sui più abbienti”, così come accaduto nel secondo dopoguerra; certo è che un prelievo fiscale non potrà ridursi alla tassazione delle rendite finanziarie che colpirebbe soprattutto i piccoli e medi risparmiatori, ma dovrà interessare anche i grandi patrimoni immobiliari e, per quanto attiene all’Italia, dovrebbe riguardare anche un aumento della tassazione dei trasferimenti di ricchezza sotto forma di eredità e donazioni in vita. Infatti l’Italia, oltre ad avere - fra le economie avanzate - il rapporto fra ricchezza delle famiglie e reddito nazionale tra i più alti al mondo, è anche uno dei Paesi con la maggiore incidenza dei flussi ereditari e delle donazioni sulla ricchezza privata.
In fondo si tratta di riprendere su più larga scala il bell'esempio, registrato durante il lockdown, del “panaro solidale”, quel paniere calato dai balconi delle case napoletane con la scritta, ripresa da una frase del medico dei poveri napoletani, Giuseppe Moscati [1]: chi ha metta, chi non ha prenda.
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Que faire de la dette Covid?
di Thomas Piketty, 13 ottobre 2020 – Le Monde
Le vicissitudini del debito pubblico, 1850-2020
Interpretazione.
Il debito pubblico è aumentato fortemente dopo ogni guerra mondiale e
ha raggiunto tra il1500% e il 300% del reddito nazionale nel 1945-1950,
prima di diminuire drasticamente in Germania e Francia (cancellazione
del debito, inflazione elevata) e più gradualmente in Gran Bretagna e
negli Stati Uniti (moderata inflazione, crescita). I beni pubblici (in
particolare gli immobili e le attività finanziarie) hanno subito nel
tempo fluttuazioni meno forti e rappresentano in genere circa il 100%
del reddito nazionale.
Fonti e serie: vedi piketty.pse.ens.fr/ideologia.et
Come affronteranno gli Stati l’accumulo del debito pubblico generato dalla crisi Covid? Per molti la risposta è chiara: le banche centrali assumeranno in bilancio una quota crescente dei debiti e tutto verrà saldato. In realtà, le cose sono più complesse. Il denaro fa parte della soluzione, ma non sarà sufficiente. Prima o poi si dovrà ricorrere ai più ricchi.
Ricapitoliamo. Nel 2020 la creazione di denaro ha assunto proporzioni senza precedenti. Il bilancio della Federal Reserve è salito da 4.159 miliardi di dollari al 24 febbraio a 7.056 miliardi di dollari al 28 settembre, quasi 3.000 miliardi di dollari in iniezione monetaria in 7 mesi, mai visti prima. Il bilancio dell’Eurosistema (la rete di banche centrali pilotata dalla BCE) è passato da 4.692 miliardi di euro il 28 febbraio a 6.705 miliardi il 2 ottobre, con un aumento di 2.000 miliardi. In relazione al PIL della zona euro, il bilancio dell’Eurosistema, che era già passato dal 10% al 40% del PIL tra il 2008 e il 2018, è appena balzato a quasi il 60% tra febbraio e ottobre 2020.
A cosa serve tutto questo denaro? In condizioni di calma, le banche centrali si accontentano di erogare prestiti a breve termine per garantire la liquidità del sistema. Poiché le entrate e le uscite di denaro nelle varie banche private non si equilibrano mai esattamente in giornata, le banche centrali ne ripristinano la liquidità erogando loro prestiti con scadenze di alcuni giorni, importi che poi gli istituti rimborsano.
Dopo la crisi del 2008, le banche centrali hanno iniziato a prestare denaro a scadenze sempre più lunghe (qualche settimana, poi qualche mese o anche diversi anni) per rassicurare gli operatori finanziari, pietrificati all’idea che i loro partner di gioco d’azzardo andassero in bancarotta. E c’era molto da fare, perché, per mancanza di una regolamentazione adeguata, il gioco d’azzardo finanziario è diventato negli ultimi decenni un gigantesco casinò planetario. Tutti hanno iniziato a concedere o a richiedere prestiti in proporzioni senza precedenti, con il risultato che il totale delle attività e passività finanziarie private detenute da banche, aziende e famiglie supera ora il 1000% del PIL nei paesi ricchi(senza nemmeno includere i titoli derivati), rispetto al 200% degli anni Settanta. Anche la ricchezza reale (cioè il patrimonio netto di immobili e imprese) è aumentata dal 300% al 500% del PIL, ma molto meno fortemente, a dimostrazione della finanziarizzazione dell’economia. In un certo senso, i bilanci delle banche centrali non hanno fatto che seguire (con lieve ritardo) l’esplosione deibilanci privati, per preservare la loro capacità di agire di fronte ai mercati.
Il nuovo attivismo delle banche centrali ha anche permesso loro di riacquistare una quota crescente di titoli del debito pubblico, portando i tassi di interesse a zero. La BCE deteneva già il 20% del debito pubblico della zona euro all’inizio del 2020, e ne potrebbe detenere quasi il 30% entro la fine dell’anno. Uno sviluppo analogo si sta verificando negli Stati Uniti.
Poiché è improbabile che la BCE o la Fed decidano di rimettere questi titoli sui mercati o di chiederne il rimborso, la decisione di non contarli più nel debito pubblico totale potrebbe essere presa ora. Se si desidera la registrazione di questa garanzia in forma legale, cosa che sarebbe preferibile, allora questo potrebbe richiedere un po’ più di tempo e di dibattito.
La domanda più importante è la seguente: dobbiamo continuare su questa strada, prevedendo che in futuro le banche centrali, per alleggerire l’onere finanziario che pesa sugli Stati, detengano prima il 50%, poi il 100% del loro debito pubblico? Da un punto di vista tecnico, questo non porrebbe alcun problema. La difficoltà è che, risolvendo la questione del debito pubblico da un lato, questa politica creerebbe altre difficoltà altrove, soprattutto in termini di crescenti disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. L’orgia della creazione di moneta e dell’acquisto di titoli finanziari porta infatti a un aumento dei prezzi delle azioni e degli immobili, che contribuisce a un ulteriore arricchimento dei più ricchi. Per i piccoli risparmiatori, i tassi di interesse zero o negativi non sono necessariamente una buona notizia. Ma per coloro che possono permettersi di contrarre prestiti a tassi bassi e che hanno la competenza finanziaria, legale e fiscale per trovare i giusti investimenti, sono possibili ottimi rendimenti. Secondo Challenges, i 500 maggiori patrimoni della Francia sono così passati da 210 a 730 miliardi di euro tra il 2010 e il 2020 (dal 10% al30% del PIL). Un tale sviluppo è socialmente e politicamente insostenibile.
Sarebbe diverso se la creazione monetaria, invece di alimentare la bolla finanziaria, venisse mobilitata per finanziare una vera ripresa sociale ed ecologica, a esempio per la creazione di posti di lavoro e aumenti salariali negli ospedali, nelle scuole, nell'efficientamento termico e nei servizi locali. Questo allevierebbe il debito riducendo le disuguaglianze, investendo in settori utili per il futuro e spostando l’inflazione dalle attività finanziarie ai salari e ai prezzi di beni e servizi.
Tuttavia, anche questa non sarebbe una soluzione miracolosa. Non appena l’inflazione tornerà a essere sostanziale (diciamo il 3%-4% all’anno), dovremo porre fine alla creazione di denaro e utilizzare i mezzi fiscali. Tutta la storia del debito pubblico lo dimostra: il denaro da solo non può offrire una soluzione pacifica a un problema di questa portata, perché porta in un modo o nell’altro a conseguenze distributive incontrollate. È ricorrendo a prelievi eccezionali sui più abbienti che si sono estinti i grandi debiti pubblici del dopoguerra e che si è ricostruito il patto sociale e produttivo dei decenni successivi. C’è da scommettere che lo stesso avverrà in futuro.
Note sulle fonti:
Sul bilancio della banca centrale si veda anche l’editoriale sul quotidiano Le Monde e il capitolo 13 di Capitale e ideologia
Bilancio BCE : 4.692 miliardi di euro al 28 febbraio 2020, 6.705 miliardi di euro al 2 ottobre 2020 (39% PIL, 56% PIL)
https://www.ecb.europa.eu/press/pr/wfs/2020/html/ecb.fst200303.en.html
https://www.ecb.europa.eu/press/pr/wfs/2020/html/ecb.fst201007.en.html
Ciò è dovuto sia al nuovo programma di acquisto di beni (PEPP, Programma di acquisto di emergenza in caso di pandemia) sia al maggiore utilizzo di quelli vecchi (in particolare il PSPP, Programma di acquisto del settore pubblico). Si veda qui la distribuzione delle risorse erogate per Paese (avendo sempre come obiettivo ancorare al PIL nazionale il capitale della Bce): https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/omt/html/index.en.html
PIL 2019 Zona Euro (12.000 miliardi di euro) UE 27 (14.000 miliardi di euro) a prezzi di mercato: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/tec00001/default/table
Bilancio Fed : 4.159 miliardi di dollari il 24/2/2020, 7.056 miliardi di dollari il 28/9/2020 (19% PIL, 33,0% PIL):
https://www.federalreserve.gov/monetarypolicy/bst_recenttrends.htm
BEA US PIL: 21.400 miliardi di dollari 2019
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Thomas Piketty è un famoso economista francese. Autore del ponderoso Il capitale nel XXI secolo (2014) sulla concentrazione e la distribuzione della ricchezza negli ultimi 250 anni, ha pubblicato più recentemente Capitale e Ideologia (2019), uno studio sulle ideologie che giustificano alti livelli di disuguaglianza nel tempo. Il post è stato pubblicato sul suo Blog sia in francese che in inglese.
[1]
Nello studio di Giuseppe Moscati c’era un tavolino per la riscossione
dell’onorario. Sul tavolino, un cappello di feltro rovesciato con la
scritta “Chi ha lasci, chi non ha prenda”. Chi poteva permettersi il
pagamento della visita medica lasciava il denaro nel cappello, ma non
pagava tanto la prestazione del dottore, bensì le medicine a chi non
aveva soldi per acquistarle.