La pandemia è uguale per tutti?

 


Uno sguardo alle vittime della pandemia nel mondo occidentale. Chi sono le categorie più a rischio, e perché?


“La pandemia è uguale per tutti”. Questo abbiamo sentito ripetere da più parti al suo inizio, ma è stato ben presto chiaro che non è vero. Vi sono gruppi che sono più esposti, che risultano essere i più poveri, i meno socialmente protetti, i più deboli per condizioni di salute.

Le minoranze etniche sono in prima fila tra i più svantaggiati. La maggiore povertà, legata ad emarginazione per cause razziste, ne rende più precarie le condizioni di salute per minore accesso a cure mediche di qualità, abitazioni sovraffollate e in luoghi meno salubri, lavori malpagati e che non raggiungono adeguati standard di sicurezza. Nel Regno Unito, secondo uno studio della University College London (UCL), i cosiddetti BAME (Black, Asian and Minority Ethnic, cioè neri, asiatici e minoranze etniche) presentano i rischi di mortalità per Covid-19 più alti: 3.24 volte la media della popolazione generale per i neri africani, 2.41 per gli originari del Bangladesh, 2.21 per i caraibici e 1.7 per gli indiani, mentre i britannici bianchi sono 12 volte meno colpiti rispetto alla media della popolazione [1]. Il sistema sanitario vede i BAME ricoprire il 44% dei posti in prima linea, i più pericolosi, mentre solo 7 di loro hanno alti incarichi amministrativi. In una lettera aperta al Guardian, alcuni leader e personaggi di spicco delle comunità BAME [2] hanno sottolineato queste disparità e la necessità di porvi rimedio rimuovendone le cause sociali ed economiche, e denunciando anche alcuni tentativi di spiegare la situazione indicando come causa i geni, la cultura o lo stile di vita delle minoranze [3].

È nota la prima strategia annunciata dal governo britannico nell'affrontare il Coronavirus: lasciare tutto aperto e perseguire, di fatto, l’immunità di gregge. Solo dopo vigorose proteste Johnson ha fatto marcia indietro, ma con settimane di ritardo rispetto a quanto sarebbe stato necessario per meglio contenere il virus, ed è sempre stata evidente la volontà di riaprire al più presto. La ragione invocata è sempre la stessa: evitare danni all'economia. Nelle parole attribuite a Dominic Cummings, collaboratore del governo, “immunità di gregge, proteggere l’economia, e pazienza se muore qualche pensionato”. Il 31 marzo Toby Young scrisse sullo Sceptic “spendere 350 miliardi di sterline per allungare la vita di poche centinaia di migliaia di anziani è un uso irresponsabile del denaro dei contribuenti”. Sul Telegraph Russell Lynch pubblicò un articolo che dichiarava “salvare vite col lockdown costa troppo”. Naturalmente le vite sacrificabili sono quelle degli anziani, dei poveri e delle minoranze etniche, non della classe dominante che può permettersi di lavorare da casa, e ha a disposizione ambienti spaziosi dove mantenere facilmente il distanziamento sociale.

Il giornalista del Telegraph Jeremy Warner ha scritto “da una prospettiva puramente economica, il Covid-19 potrebbe addirittura rivelarsi abbastanza utile sul lungo termine, eliminando gli anziani non autonomi”. Quindi la pandemia, nella visione della classe dominante, potrebbe agire come benefica “catastrofe Malthusiana”, che elimina il surplus di popolazione non produttiva in maniera perfettamente “naturale” e liberando la società da un peso morto che, secondo Malthus, non avrebbe alcun diritto a ricevere assistenza. Il pensiero di Malthus ebbe nell’800 un’ideale continuazione nel darwinismo sociale, che vedeva nella morte prematura dei deboli e degli emarginati un’applicazione del principio darwiniano della “sopravvivenza del più adatto”, che avrebbe reso migliore la comunità umana perché composta solo da soggetti forti e sani. Il cammino era aperto perché sir Francis Galton fondasse l’eugenetica, che teorizzava di poter attivamente contribuire al miglioramento dell’umanità mediante azioni che ne selezionassero i più degni elementi. La maniera più “soft” di raggiungere l’obiettivo consisteva nell'incoraggiare una fertilità differenziata per strati diversi della società: più figli per coloro che erano considerati “superiori”, sterilizzazione dapprima volontaria, poi forzata degli “inferiori”. Fu così che piani eugenetici furono attuati in diversi paesi, conducendo alla sterilizzazione di uomini e, spesso in maniera preponderante, donne provenienti da ambienti disagiati, con bassa scolarità, o con handicap fisici o mentali. L’eugenetica cadde ufficialmente in disgrazia dopo l’applicazione fattane dai nazisti, che non si limitava alla sterilizzazione ma arrivò al massacro di qualche milione di “inferiori”. Tuttavia essa continuò ad essere operativa, più o meno nascostamente in vari paesi. Johnson, nel 2013, scrive sul Telegraph che i più ricchi sono anche coloro che hanno capacità sopra la media nel pensiero matematico, scientifico e logico. Quale ne sia la causa, secondo Johnson, possiamo arguirlo dalle parole del suo stretto collaboratore Dominic Cummings, che affermò come, essendo l’intelligenza fondamentalmente di origine genetica, sprecare energie per garantire un’istruzione completa ai bambini della working class fosse insensato. Se ne deduce chiaramente che i poveri sono destinati ad essere cretini, e i ricchi intelligenti. Non per diseguale accesso alle opportunità, ma per natura [4]. Tale mentalità fornisce un’ottima scusa alle classi agiate per continuare a tenere per sé gran parte delle risorse, invece di sprecarle per degli emarginati che ora il Covid-19 gli sta, in parte, opportunamente levando di torno.

Anche nei Paesi scandinavi l’eugenetica ebbe fortuna, soprattutto in Svezia, dove le sterilizzazioni forzate andarono avanti fino al 1974. La purezza etnica ricercata mediante queste operazioni aveva il fine di creare il perfetto cittadino del welfare state, in grado di contribuire con la sua forza fisica e mentale alla produzione di ciò di cui la società doveva giovarsi. Agli elementi non produttivi non veniva negato l’accesso al welfare, ma quello alla riproduzione [5]. Forse non deve sorprendere che, con questi trascorsi, sia proprio la Svezia ad aver attuato ciò che Boris Johnson aveva solo espresso l’intenzione di attuare: la ricerca dell’immunità di gregge lasciando il virus libero di circolare, ritardandone la diffusione solo con raccomandazioni ai cittadini riguardanti il distanziamento sociale e l’autoisolamento se appartenenti a un gruppo a rischio [6]. La strategia della Svezia ha incontrato vasto supporto in patria, dove i cittadini hanno espresso una sorta di orgoglio nazionalistico nelle capacità del Paese di gestirsi senza misure contenitive. “Lasciamo che la Svezia sia la Svezia”, ha scritto un giornalista [7]. Gli svedesi hanno fatto oggetto di una sorta di culto Anders Tegnell, l’epidemiologo responsabile della risposta svedese al coronavirus, e ridicolizzato le voci critiche che esprimevano preoccupazione sull'andamento dell’epidemia [8]. Critiche fondate, visto che, mentre i Paesi che hanno imposto il lockdown hanno fortemente ridimensionato i contagi, quelli svedesi hanno continuato a salire fino a diventare, a maggio, uno degli Stati con maggior numero di infetti per milione di abitanti, e una proporzionale quantità di morti, mentre l’immunità di gregge è ben lontana dall'essere stata raggiunta. Recentemente Anders Tegnell è al centro di polemiche per alcune e-mail pubblicate dall’Expressen, in cui l’epidemiologo, rivolgendosi al collega finlandese, domandava se abbassare del 10% la diffusione del virus tra gli anziani chiudendo le scuole fosse un obiettivo meritevole di essere raggiunto. Tegnell ha negato di aver voluto perseguire l'immunità di gregge. Le scuole primarie rimasero aperte, e gli studenti furono obbligati a frequentarle minacciando i genitori di multa in caso di assenza. I genitori ora insistono per l’uso delle mascherine a scuola in vista dell’imminente riapertura, anche se Tegnell è contrario [9].

Ciò che si è ottenuto è una strage nelle residenze per anziani, che costituiscono l’80% dei morti per l’epidemia. Le linee guida per il loro trattamento, fatte circolare in un video prodotto dalla Stockholm Nursing Home e dal Palliativt Knowledge Centre a Stoccolma, suggerivano di non dare ossigeno ai pazienti con deficienza respiratoria nelle residenze per anziani, ma morfina, che deprime ulteriormente la funzione respiratoria. L’ossigeno può essere somministrato solo negli ospedali, ma solo i pazienti meno anziani hanno diritto ad accedervi, consentendo alle autorità di annunziare trionfalmente una sopravvivenza dell’80% per i ricoverati da Covid-19 in terapia intensiva [10]. Che fosse voluto o no, il risultato di liberarsi di una buona quantità di anziani improduttivi è stato raggiunto [11].

Alcuni hanno addirittura trovato il modo di darne la colpa agli immigrati: l’epidemiologo Johan Giesecke ha affermato che, a causa del gap linguistico, il personale di provenienza straniera che lavora negli istituti per anziani potrebbe non aver capito bene le istruzioni. Il partito anti-immigrati Democratici Svedesi ne ha subito approfittato per lamentare che la salute degli anziani svedesi è stata messa a rischio per provvedere all'integrazione di immigrati ignoranti.

Motivi culturali sono stati invocati anche per spiegare la maggiore presenza di Covid-19 all'interno della comunità somala svedese rispetto alla popolazione generale. Anders Tegnell ha affermato che vi è all'origine, probabilmente, una non ancora perfetta integrazione. Altri hanno affermato che la comunità di origine straniera non ha ricevuto indicazioni su come difendersi dal virus dalle autorità, che non hanno prodotto in tempo delle traduzioni dei comunicati alla popolazione. Certo è che, come nel Regno Unito, anche in Svezia gli immigrati hanno lavori che li espongono maggiormente al rischio di contagio, come quello nelle residenze per anziani, e hanno minore accesso a cure mediche, istruzione, abitazioni non sovraffollate [12].

Come anche recenti avvenimenti hanno testimoniato, negli Stati Uniti la questione razziale è tutt'altro che superata. Nonostante la schiavitù, prima, e la segregazione, poi, siano state abolite, il white privilege è ancora evidente. Resta notevole la disparità nel reddito, nella qualità delle abitazioni, nell'accesso all'istruzione e alle cure mediche tra bianchi e neri, come è logico aspettarsi in un Paese come gli Stati Uniti dove non vi è una vera sanità pubblica, e curarsi è un privilegio di chi ha abbastanza soldi per pagarla di tasca propria o un’assicurazione sanitaria di buon livello. La percentuale di chi non ha un’assicurazione sanitaria è del 12,3 per gli afroamericani, rispetto al 7,5 dei bianchi, ed è quindi frequente che si cerchi l’aiuto medico solo quando le condizioni di salute lo rendono non più rimandabile. In alcuni luoghi vi è anche una certa sfiducia nel sistema sanitario da parte degli afroamericani: è ancora vivo il ricordo di ciò che avvenne alla Tuskegee University a partire dal 1932, dove per quarant'anni ai neri ammalati di sifilide fu dato segretamente un placebo al posto della penicillina, per studiare lo svilupparsi della malattia in assenza di terapie. Se a questo aggiungiamo che i neri sono maggiormente impiegati in lavori poco sicuri, già da prima della pandemia, e costituiscono buona parte degli essential workers liberi di circolare, e di infettarsi, durante il lockdown, non sorprende che i numeri del contagio siano così alti nella comunità nera: circa un terzo dei positivi al virus sono neri, nonostante rappresentino solo il 13% della popolazione americana, e sono neri pure un terzo dei morti. In certi luoghi la situazione è anche peggiore: afroamericani sono il 36% dei morti nel Wisconsin, nonostante la popolazione nera non vada oltre il 6,7% [13].

Impossibile non rendersi conto dell’esistenza di un problema. Ma anche qui c’è chi riesce a dare la colpa alle vittime: un membro Repubblicano dello stato dell’Ohio ha espresso il dubbio che “la popolazione di colore” non si lavi bene le mani, e non segua adeguatamente le regole sul distanziamento sociale e sull’uso di mascherine [14].

Il trattamento così spesso riservato ai neri dalla polizia e l’alto numero di carcerati di colore in prigioni dove ritrovano il loro antico ruolo di schiavi, lavorando senza garanzie né diritti per salari tanto bassi che certe aziende trovano conveniente “delocalizzare” la produzione nelle carceri americane invece che nei paesi del Terzo Mondo [15], mostra come le autorità ritengano parte della popolazione americana sfruttabile, segregabile o, direttamente, sacrificabile.

Una mentalità razzista così profondamente radicata non poteva restare insensibile al fascino dell’eugenetica, che infatti anche qui fu applicata, in primis attraverso le sterilizzazioni forzate. In una famosa sentenza della Corte Suprema, nel 1927, il giudice Oliver Wendell Holmes così si espresse in favore della sterilizzazione di una donna “mentalmente deficiente”: “è meglio per il mondo che, invece di restare in attesa di giustiziare i loro figli degenerati per i delitti che commetteranno, o lasciarli morire di fame a causa della loro incapacità, la società si incarichi di prevenire che vengano messi al mondo da chi è manifestamente non adatto ad avere una discendenza. Tre generazioni di imbecilli sono sufficienti” [16].

Il biografo di Trump Michael D’Antonio scriveva nel 2016 che per tradizione familiare Trump crede che esistano persone superiori, e che sia possibile ottenerle mettendo insieme i geni di un uomo e una donna superiori. E che questa sia la ragione per cui è convinto di avere un cervello eccezionale, come ha ripetuto in più di un’occasione [17]. Alcuni pensano che tra i motivi per cui Trump ha ritardato a lungo di prendere adeguate misure contro il coronavirus vi sia la sua fede nell'eugenetica: un’ottima occasione per ripulire l’America dai cittadini più deboli e indesiderabili. Forse non a caso le linee guida per il personale medico raccomandano di escludere certi pazienti da trattamenti sanitari come l’accesso ai respiratori e ai posti in terapia intensiva: nel Minnesota chi soffre di cirrosi epatica, malattie polmonari e cardiache; nel Tennessee chi è affetto da atrofia muscolare spinale; negli Stati di Washington, New York, Alabama, Tennessee, Utah, Minnesota, Colorado, Oregon, i medici devono dare un giudizio positivo sulle condizioni generali fisiche e mentali dei pazienti prima di concedere loro l’accesso alle terapie; e anche in altri Stati la salute mentale pare la qualità più richiesta per chi deve essere giudicato più adatto a sopravvivere [18].

Queste disposizioni vengono giustificate col ricorso a principi bioetici: evitare che il personale medico sia lasciato solo davanti alla scelta di chi salvare e chi no in caso di scarsità di posti negli ospedali, magari usando adeguati algoritmi che rendano la scelta il più obiettiva possibile [19].

Ma la ragione ufficiale per cui Trump e tanti altri si sono mostrati contrari al lockdown e sono ora ansiosi di riaprire tutto è sempre la stessa: l’economia.

Dan Patrick, vicegovernatore del Texas, si è detto sicuro che i nonni si sarebbero sacrificati volentieri per salvare il futuro economico dei loro nipotini. Jonathan Ashbach sul Federalist si è chiesto se non possa addirittura essere un vantaggio per la nazione se alcune centinaia di migliaia di persone dovessero morire per il virus. Rusty Reno su First Things, un giornale dell’area Cristiana conservatrice, ha deplorato “il lato demoniaco di un sentimentalismo che pretende di salvare vite ad ogni costo”. L’economista Stephen Moore ha dichiarato al Washington Post che non ci si può permettere una politica che abbia in progetto di salvare ogni vita umana ad ogni costo, senza pensare a quanti miliardi di dollari dovranno essere sacrificati per raggiungere lo scopo.

L’idea di “economia” espressa da questi commentatori non ha niente a che fare col benessere della popolazione: solo col benessere dei più fortunati, per condizione fisica o ricchezza, qualità che li rendono gli unici degni di sopravvivere [20].

Anche il negazionismo relativo al virus, cioè l’idea che la pandemia sia un’invenzione e l’uso delle mascherine un insopportabile attentato alla libertà, ha lo scopo non dichiarato di mantenere lo status quo economico a spese dei più fragili, ed è sostenuto dalle stesse reti informative e dagli stessi think tank che stanno dietro al negazionismo sul cambiamento climatico, facenti capo a gruppi di destra e organizzazioni a tutela degli interessi industriali [21].

Il Brasile passa a volte per essere meno razzista degli USA, ma lo è solo in modo diverso. Le politiche eugenetiche, diffusissime agli inizi del secolo scorso, si mescolavano col movimento sanitarista, che intendeva “igienizzare” il Brasile e sottrarlo alle epidemie che, dopo l’abolizione della schiavitù, scoppiavano frequenti nelle città dove si concentravano i neri, poverissimi e ammassati in spazi insalubri. Fondamentale per lo sviluppo del Paese era quindi liberarsi dell’elemento africano, vietando ulteriore immigrazione che non fosse dall'Europa e impegnandosi nel branqueamento (sbiancamento) della popolazione, per cui furono proposti vari metodi, anche opposti: incoraggiare i matrimoni misti, nella convinzione che la superiorità del sangue bianco avrebbe cancellato progressivamente le caratteristiche nere entro un centinaio d’anni; oppure vietarli, selezionando una razza bianca pura attraverso la segregazione dei “deficienti” mentali, la sterilizzazione di anormali, criminali, “tarati” in generale, e l’accoppiamento degli elementi più meritevoli di discendenza con le migliori “riproduttrici”.

Nonostante alcune voci contrastanti, che attribuivano il sottosviluppo ad altre cause come il parassitismo sociale (ovvero l’idea che i Paesi ricchi invadano altre terre per rubarne le ricchezze, e fare dei nativi una classe sfruttata e sottomessa) e il generale discredito delle teorie eugenetiche dopo le vicende naziste, residui della mentalità eugenetica rimangono ancora nel Brasile di oggi [22]. La politica di non-contenimento del virus portata avanti da Bolsonaro, che ne minimizza la gravità, ha portato il Brasile al secondo posto nel mondo per numero di contagi e di morti, e il carico maggiore dell’epidemia, così come cent’anni fa, sta sulle spalle della comunità nera, le cui condizioni economiche, di salute, di educazione, sono sempre peggiori di quelle dei cittadini di origine europea. Il numero di afrobrasiliani contagiati, e morti, aumenta assai più di quello dei bianchi, fino a fare dell’essere nero il secondo principale fattore di rischio per Covid-19, dopo l’età [23].

Lo sfruttamento economico dell’Amazzonia per la ricerca di minerali, legname, terreni da destinare all'agricoltura industriale sta facendo piazza pulita della considerazione particolare di cui godevano gli indios presso il mondo culturale brasiliano (si vedano le opere dei modernisti), così come degli indigeni stessi. La terra a loro disposizione è in continua diminuzione e molti non possono più permettersi l’antico modo di vivere, mentre vengono continuamente minacciati e uccisi dall'inquinamento, dalla povertà di mezzi, dai colpi di pistola di chi li considera un ostacolo ai propri interessi economici e ora anche dal coronavirus che penetra sempre più a fondo nella foresta, al seguito degli indios in fuga dalla devastazione dello sfruttamento, dalla povertà, dalla mancanza di cure mediche, sempre più tragica dopo la cacciata dei medici cubani che volontariamente prestavano servizio nelle zone più povere del Brasile, fino a minacciare le popolazioni ancora incontattate. Bolsonaro ha dichiarato più volte “Se diventerò Presidente, non ci sarà un solo centimetro in più di terra indigena,” e sta pienamente tenendo fede alla promessa. Il suo progetto per gli indios è di integrarli nella società brasiliana: “gli indios si stanno evolvendo sempre di più, stanno cambiando, è necessario che vengano integrati nella società, stanno diventando esseri umani come noi” [24]; sullo stesso tono il generale Hamilton Mourão, secondo cui il sottosviluppo nazionale è causato dall'eredità culturale composta dall'indolenza degli indios e dalla tendenza alla delinquenza degli africani [25]. Occorre quindi, secondo le élite al potere, impedire che le ONG continuino a mantenere gli indigeni “al livello degli uomini delle caverne”, e non ascoltare i capi indigeni che non rappresentano i veri interessi delle popolazioni indie, ma quelli di governi stranieri che vogliono mettere le mani sull'Amazzonia. Vedremo, dopo la presidenza di Bolsonaro, quanti indigeni resteranno da integrare [26].

Il sacerdote domenicano Frei Betto, scrittore, consulente della FAO e attivista impegnato nel sociale, ha diffuso il 16 luglio una lettera aperta che è un urgente appello a fermare il genocidio che in Brasile si sta consumando per volontà di Bolsonaro. Purtroppo il mondo occidentale è pienamente allineato con gli scopi, dichiarati o inconfessabili, dell’attuale presidente, e dai suoi governi non arriverà alcun aiuto. Dovrà essere il popolo brasiliano stesso a trovare la forza e il coraggio per ribellarsi [27].

Chi sono i sacrificabili in Italia si è scoperto ben presto. Anche qui i più svantaggiati sono stati anche i più colpiti dal virus, come si è visto per i migranti che lavorano nei magazzini della società Bartolini di Bologna o quelli che lavorano nel distretto delle carni di Modena, o i braccianti del settore agricolo. Ma gli anziani innanzi tutto: il virus ha circolato liberamente nelle RSA, dove addirittura si è permesso fossero ospitati malati di Covid-19 provenienti da altre strutture. Le residenze per anziani hanno pagato per anni e anni di smantellamento del sistema sanitario nazionale, e per il loro abbandono nelle mani di aziende private guidate dal principio del massimo profitto col minimo investimento. Ma il collasso del sistema sanitario ha interessato intere province, con paesi come Alzano e Nembro dove è deceduto l’1% della popolazione. Eppure tali numeri si sarebbero potuti evitare, con un lockdown rigoroso e attuato per tempo. Invece sappiamo come è andata: in nome dell’economia si è minimizzato, si è ritardata la chiusura, si è permesso che più della metà delle aziende restassero aperte, e altre riaprissero prima del tempo, si è fatta pressione perché non fossero istituite le zone rosse. E ora, per stimolare la ripresa, si invoca la più spinta deregulation aprendo cantieri per opere pubbliche abolendo il codice degli appalti, ed eliminando quel che resta dei diritti dei lavoratori. Perché all'economia, ovvero alla logica del profitto, tutto e tutti sono sacrificabili; sopravvive chi può permetterselo, in base a una ben precisa gerarchia di classe, genere, razza ed età.

Il mondo post Covid, nelle intenzioni delle élite del potere economico, assomiglia allo scenario che Peter Frase ha chiamato sterminismo: un mondo in cui la vita di milioni e milioni di persone non ha senso agli occhi degli accumulatori di profitto, perché non utili alla produzione e anzi in eccesso rispetto a una disponibilità di risorse destinata, prima o poi, a calare [28]. Resta da vedere quale sarà la reazione delle masse di sacrificabili: le manifestazioni e gli atti di ribellione collettiva, già in forte crescita in varie parti del pianeta prima della pandemia, sono arrivate fino alla creazione di zone autogestite all'interno delle città della Nazione più potente del mondo occidentale. Una lotta difficile, che può avere una possibilità di vittoria solo se sapremo abbandonare egoismi ed individualismi ed aprirci alla coscienza che All Lives Matter.



[28] Peter Frase, Quattro modelli di futuro. C'è vita oltre il capitalismo, Ist. Enciclopedia Italiana, 2019

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